18,00 €
Autore: Dante Maffia
Editore: Genesi Editrice
Formato: libro
Collana: Novazioni, 98
Pagine: 160
Pubblicazione: 2025
ISBN/EAN: 9791281996113
Sogni di ossessioni e di libertà
Prefazione
Dopo essere stata a lungo e da molti dibattuta negli anni passati, l’idea che esista una letteratura lucana si è alla fine affermata con l’avallo di autorevoli storici e critici letterari. Si è anche convenuto che la sua identità, la quale non può dipendere né dal luogo di nascita degli autori, né dalla lingua utilizzata, né dai contenuti delle opere, deve essere individuata nel concetto stesso di “lucanità”. In altre parole lo stigma della letteratura lucana è l’essenza antropologica, culturale e spirituale della sua comunità, quale si è andata formando e si è costituita nel corso dei secoli. Sull’idea, ma c’è chi in verità preferisce parlare di mito, della lucanità risulta particolarmente significativa e autorevole la testimonianza di Leonardo Sinisgalli, che nel 1975 in un notissimo brano dell’opera Un disegno di Scipione e altri racconti rappresentò in maniera pregnante e icastica i tratti essenziali degli atteggiamenti e dei comportamenti dei lucani, tuttora attuali, essendo sopravvissuti alle inevitabili trasformazioni sociali e culturali della storia.
«Girano tanti lucani per il mondo, – scrive lo scrittore di Montemurro – ma nessuno li vede, non sono esibizionisti. Il lucano, più di ogni altro popolo, vive bene all’ombra. Dove arriva fa il nido, non mette in subbuglio il vicinato con le minacce […]. È di poche parole. Quando cammina preferisce togliersi le scarpe e andare a piedi nudi. Quando lavora non parla, non canta. Non si capisce dove mai abbia attinto tanta pazienza, tanta sopportazione. Abituato a contentarsi del meno possibile, si meraviglierà sempre dell’allegria dei vicini, dell’esuberanza dei compagni, dell’eccitazione del prossimo. Lucano si nasce e si resta».
Lo stesso Sinisgalli, poi, ci invita a cogliere un altro segno peculiare dell’indole dei suoi conterranei, che non è meno rilevante degli altri sopra indicati, ma che troppo spesso è trascurato o ignorato, vale a dire la predisposizione alla riflessione e alla meditazione. In una limpida strofe della sua poesia Lucania ricorda che tale dote, che pare quasi connaturata, è testimoniata da una tradizione plurisecolare, come attesta la fioritura nelle colonie fondate dai greci sulle coste lucane di alcune prestigiose scuole filosofiche:
«Lo spirito del silenzio sta nei luoghi
della mia dolorosa provincia. Da Elea a Metaponto,
sofistico e d’oro, problematico e sottile,
divora l’olio nelle chiese, mette il cappuccio
nelle case, fa il monaco nelle grotte, cresce
con l’erba alle soglie dei vecchi paesi franati».
Dopo questa lunga, ma si spera non inutile, premessa ci pare di poter affermare con serena convinzione che il sentimento e l’idea della lucanità costituiscono il filo rosso che attraversa le Pagine lucane di Dante Maffia. Ciò si può meglio intendere, se si ricorda che l’autore, nato in un piccolo paese della Calabria, ebbe modo di dar vita a un rapporto d’amore con la terra lucana fin dagli anni della fanciullezza per un fatto occasionale e inconsueto. Lo racconta lui stesso in un testo di sapore deamicisiano, inserito in questa raccolta e scritto in occasione della scomparsa di Pio Rasulo, suo maestro alla scuola elementare, che sarebbe poi diventato docente universitario prima a Salerno e poi a Lecce.
La scuola, come ricorda Maffia a distanza di molti anni, che non hanno però offuscato i ricordi, era «in una vecchia casa al secondo piano del Mercatillo di Roseto Capo Spulico. Ovviamente una stanza piccola, senza bagno, senza acqua corrente, senza finestre. C’era la lavagna, però, e c’era il suo [del maestro] violino che ogni tanto ci faceva fremere, ci portava lontano, nelle vaghezze del sogno. Ogni settimana faceva l’albo d’onore degli alunni che avevano studiato di più e si erano impegnati; lo appendeva dietro la porta. Io non ci figurai mai, avevo altre cose belle da fare anziché studiare, andare negli orti a rubare frutta, andare al campo sportivo a tentare di giocare con il pallone di stracci, assistere al gioco del tressette al bar, organizzare gare con la fionda per vedere chi era capace di cogliere una rondine a volo. Il Maestro [di Stigliano, in provincia di Matera] sposò una ragazza del paese e dopo due anni fu trasferito in Lucania, ma prima ebbe l’idea di portare la classe a Matera a vedere i Sassi. Siamo nel 1953!!! Una gita, durante la quale mangiai il mio primo gelato e mi toccò di subire le linguacce di una ragazza, poco più grande di me, che saliva una lunga scalinata e voltandosi m’indirizzava, non so perché, i suoi sberleffi linguistici, no no, linguacciuti, linguaioli, linguaccioli?».
Con quel primo indimenticabile incontro ebbe inizio un lungo e sempre più saldo legame, dal quale, annota Maffia nel suo scritto Perché Matera, sarebbero nati «i 9 libri dedicati alla città, le migliaia di versi nei quali ho sintetizzato l’essenza della sua divinità di donna, il suo profumo, la sua smania di vita, il mistero che ancora avvolge i Sassi e fa sentire il suo fiato eterno, l’identità magica di Matera, la sua bellezza incorrotta». Non poco contribuirono a consolidare il sentimento d’amore le preziose amicizie che fiorirono nel corso della lunga frequentazione e si rivelarono importanti sul piano intellettuale, artistico, umano.
Come quelle di alcuni grandi artisti lucani, Luca Celano, Giuseppe Pedota e Luigi Guerricchio fra gli altri, che Maffia ebbe modo di conoscere personalmente, di frequentarli e di ammirarne l’attività artistica di altissimo livello. E, da appassionato e raffinato esperto di arte qual egli è, non manca di farcene percepire la grandezza anche in queste Pagine lucane con preziose considerazioni, in cui la serenità di giudizio critico non è scalfita dalla affettuosa ammirazione.
Di Celano dice che, avendone per lunghissimo tempo seguito da vicino l’itinerario artistico, si è potuto ben rendere conto «di come egli abbia, giorno dopo giorno, affinato la sua espressione, il suo colore, di come abbia realizzato il paesaggio facendolo diventare fiato caldo dell’anima e non solo illustrazione, di come sia stato capace di dare alle nature morte la bellezza della loro “funzione”, e ai volti il carattere immediato della loro origine. […] Egli ha saputo cogliere l’essenza di un mondo che stava perdendosi, la poesia di una civiltà che, nonostante l’offerta sistematica di Levi, di Guerricchio e di Guttuso non è rimasta a svettare se non come testimonianza di una realtà ormai diventata altro. Tuttavia il repertorio di Luca Celano non è bello e affascinante soltanto perché recupera momenti di un realismo ricco di sfumature irripetibili, è bello perché egli mette la sua anima dentro ogni realizzazione, il fuoco dei suoi pensieri, dei suoi ideali». Non meno deliziose sono le riflessioni su Luigi Guerricchio, da tutti riconosciuto come il più grande pittore lucano del Novecento. Le incisive osservazioni di Maffia ci danno conferma di quanto sia vera, anche nel caso in cui si parli di opere pittoriche e non letterarie, la concezione di Sainte-Beuve per cui il critico è uno che sa leggere e insegna agli altri a leggere. Si può aggiungere che nell’autore di queste Pagine lucane la lezione del grande critico francese si caratterizza per il fatto di essere filtrata attraverso il magistero di Giuseppe De Robertis, suo Maestro di critica letteraria e pur egli lucano.
Maffia tratteggia con sapienza e finezza le note distintive della pittura del grande artista materano, osservando che «il lavoro quotidiano, le feste, le case, il paesaggio arido, a cominciare dai Sassi, la vita intorno a sé, Guerricchio riusciva a ricomporli, sulla tela, con una accesa dose di entusiasmo che caratterizzava perfino la posizione dei soggetti, i quali non diventavano mai forme silenziose e basta, ma erano sempre luce nuova che si proponeva per aderire alla vita delle campagne, degli alberi, delle strade e perfino dei vicoli».
E, a giustificare il fascino che emana la sua personalità artistica e umana, ci dona altre osservazioni illuminanti: «Guerricchio è stato il poeta della pittura e non si è mai chiuso maniacalmente, per fortuna, dentro gli stereotipi della ripetizione, ecco perché è come se ogni sua immagine respirasse e parlasse, raccontasse non solo la propria sostanza, ma il senso profondo della sua funzione nella società. Sì, lo so, alla sua pittura sono state date una infinità di definizioni e di etichette, ma credo che tutte e nessuna abbiano ragione, perché nel modo di vivere e di agire di Guerricchio vigeva la forza della libertà».
Pagine lucane, dunque, propone testi di vario genere (recensioni, prefazioni, elzeviri) di narratori, poeti, saggisti lucani, alcuni dei quali da tempo sono assurti a fama nazionale o regionale, come Giuseppe Lupo, Andrea Di Consoli e Filippo Radogna, altri sono meno noti ma non per questo meno degni di considerazione. Nelle sue recensioni e prefazioni Dante Maffia mette a fuoco le varie tematiche e fa risaltare i valori formali con rara sapienza esegetica, avvalendosi di una dovizia di pertinenti e illuminanti riferimenti letterari, che favoriscono una lettura intelligente delle opere prese in esame e la rendono interessante e godibile.
Esemplari sono in tal senso le numerose pagine dedicate alle ultime opere dello storico della letteratura Giovanni Caserta, la cui assidua, intensa e prolifica attività intellettuale molto ha contribuito non solo alla conoscenza, ma anche alla valorizzazione del patrimonio letterario lucano. Ne fa fede più di ogni altra sua opera la Storia della letteratura lucana, che a distanza di oltre trent’anni rimane ancora un ineludibile punto di riferimento per tutti.
Maffia considera Caserta un vero Maestro di critica letteraria e ne apprezza la chiarezza espositiva, la scrittura sempre aliena da toni retorici, la rigorosa documentazione su ogni argomento trattato. Per queste ragioni egli sostiene che «ogni suo scritto critico è sempre stato, direbbe Umberto Saba, onesto, cioè privo di intenzioni che vanno al di là dei testi, mai di parte, aperto al confronto». E, recensendo la raccolta di racconti Lettere provinciali, non manca di metterne in risalto anche le notevoli qualità di narratore, che riesce accattivante, perché a suo parere è capace di «portare il lettore dentro le atmosfere, creando un rapporto di complicità con i personaggi e con il paesaggio, con le loro storie e le loro situazioni sociali e umane».
I testi di Pagine lucane, dunque, sono occasioni critiche, che nella loro episodicità danno una rappresentazione caleidoscopica della letteratura lucana e, tramite questa, della realtà e della vita regionale. Naturalmente nella raccolta non poteva mancare la voce della poesia, essendo l’autore anche un poeta. Anzi, fra coloro che ne conoscono bene la grande versatilità e la sterminata produzione letteraria, non sono pochi a ritenere che Maffia sia essenzialmente un poeta.
In effetti, a partire dalla sua prima opera del 1974 Il leone non mangia l’erba, prefata da Aldo Palazzeschi, egli ha dato vita a una ricca e preziosa serie di opere poetiche, che sono state accolte sempre con grande favore dalla critica e dal pubblico e sono state tradotte in molte lingue, persino in quella giapponese. Una delle ragioni di tale lusinghiero e non effimero successo va individuata nel fatto che la sua ispirazione poetica è alimentata da un perenne interrogarsi sui grandi temi esistenziali. Il mistero della vita e della morte, dell’uomo e dell’Universo è senza dubbio una componente essenziale della poetica di Maffia.
Tali motivi poetici si possono rinvenire anche nelle trentaquattro poesie qui proposte con il titolo Per Isabella Morra, Ti raccoglie una favola. Nella fantasmagoria di immagini poetiche balena di continuo il leggiadro fantasma della giovane e infelice poetessa di Valsinni, la Musa ispiratrice di queste incantevoli liriche che vedono protagonista la città dei Sassi. Per questo, secondo il nostro sommesso parere, la deliziosa silloge si sarebbe potuta intitolare anche Elegie materane e, sempre evocando Goethe, Maffia potrebbe affermare che solo a Matera ha «sentito cosa voglia dire essere un uomo» e che non è «mai più ritornato a uno stato d’animo così elevato, né a una tale felicità di sentire».
Emblematica a tale proposito è l’ultima strofe della lirica Matera, è un sogno, che chiude la silloge:
«Ti amo, Matera,
arpa che sembri abbandonata ai venti,
che hai mani dolci di bambina,
il cuore grande dei racconti antichi».
Sono versi di struggente bellezza, che esaltano la malia di una città unica al mondo attraverso metafore di grande potenza espressiva. In essi è la perfetta sintesi di queste Pagine lucane, in cui la varietà dei tempi e dei temi ritrova la sua unitarietà e la sua interna motivazione nel sentimento della lucanità e nel profondo amore per una terra che Maffia sente da tempo come una seconda patria.
Angelo Colangelo
Parma, gennaio 2025
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