Prefazione

Per chi scrive queste poche righe, le quali si collocano bene al di sotto dei meriti dell’Autore, parlare di Enzo Belardinelli rappresenta il rischio di non sapere controllare l’emozione ammirativa che egli è in grado di su­scitare nel sottoscritto. Infatti, l’Avvocato, come lo si chia­ma in casa editrice, appartiene a quel genere di gentiluomini che si fanno amare prima di tutto per la gentilezza innata dei loro tratti e in secondo luogo per la sapienza acquisita negli anni di sapere vivere con garbo e con riserbo in mezzo al prossimo, sempre orientandosi verso un esito di bontà o quanto meno di arricchimento reciproco dei valori fondanti della vita. Un incontro con Enzo Belardinelli, per breve che sia, è sempre un evento mirabile. Egli ha per chiunque un racconto da proporre, una sentenza di vita da illustrare, una confidenza metaforica da sussurrare, un paterno consiglio da adombrare con un sorriso offerto senza intenzione alcuna se non quella di godere un poco delle buone maniere e dell’urbanità dei rapporti. La sua vita è una lezione di stile, offerta come fosse un fiore di campo e non già una pretenziosa aiuola recintata. La spontaneità familiare e benevola è la misura del suo carattere di uomo colto e di lavoratore instancabile, anche avveduto e solerte nel difendere i suoi interessi, che sono stretti intorno alla famiglia e all’onore della professione, come si costumava un tempo per gli uomini di buona volontà. In fondo, è questo l’esempio che, sia pure con la celia del nascondimento o del camuffamento dietro lo schermo degli impegni e delle vanità sociali, Belardinelli offre ai suoi lettori: l’esempio della buona volontà. Egli è nella vita ciò che si rispecchia esattamente nella sua poesia: la volontà di essere buoni ovvero – è anche lecito riflettere all’inverso la frase – la bontà di essere volenterosi. Leggendo le pagine del suo libro di poesie, il lettore incontrerà infinite volte l’aggettivo “buono”, quasi sempre collegato all’immagine di Gesù, non tanto per sottolineare una vocazione religiosa, che in Belardinelli non è travolgente e meno che mai bigotta, ma per sigillare con il fulgido esempio del Maestro di vita l’acme supremo dell’unione della volontà e della bontà, che unite insieme esprimono la forza più grande di cui è dotato l’intero genere umano.
C’è quell’endecasillabo centrale collocato nella poesia La vita corre su binari scelti, riprodotta a pagina ottantacinque, che cattura la mente come fosse la luce che abbagliò il pellegrino sulla strada di Damasco. Il verso dice Per camminare sempre sulle strisce, e rimane una formula poetica polivalente al punto che può significare un cammino solo apparentemente libero, ma in realtà predestinato e costretto, come l’avanzamento del treno sul binario. Tuttavia, quello stesso verso può anche significare la capacità di dare un ordine, una direzione e un’armonia al progresso dell’uomo nel grande caos delle possibilità contraddittorie che sono offerte alla nostra scelta. Credo che la bilancia dell’Avvocato abbia sempre ondeggiato i suoi due bracci tra queste opposte esigenze: essere costretti a condursi lungo un cammino forzato ed essere capaci di inventare l’armonia e la direzione giusta nel grande caos delle scelte possibili. Si legga, al riguardo, la bellissima poesia dedicata alla famiglia che ritroviamo alla pagina centoundici, e che è colma di venerato stupore per l’armonia che la volontà e la bontà sanno ricostruire in un felice nucleo familiare: “Quant’è bello vedere una famiglia / raccolta accanto al vecchio focolare / con la scala di tutti i componenti / ed i compiti a ognuno riservati; / in una vita molto regolare.” E poi si legga ancora, per istituire il confronto a contrasto, la poesia Se dovessi ricominciare ancora riprodotta a pagina centoquarantotto che conduce alla massima latina “Nihil sub sole novi”. Una poesia ci illustra la gioia di costruire nell’armonia il nostro futuro; l’altra poesia ci ammonisce circa l’impossibilità di vedere qualcosa di nuovo al mondo. Dal confronto di queste due forze opposte – le abbiamo definite i due bracci di una stessa bilancia – nasce la temperanza dell’uomo saggio.
Enzo Belardinelli ama esprimersi per endecasillabi e per le rime. La sua poesia, dunque, non vuole ammantarsi di pretese sperimentali e innovative del dire poetico, ma al contrario preferisce optare per le espressioni morbide e usuali della tradizione italiana che ha fatto dell’endecasillabo l’autentica misura espressiva dell’affabulazione in versi, come lo è il cucchiaio di sciroppo per l’adolescente che deve rinforzarsi il fisico. La poesia di Belardinelli è, invece, uno sciroppo che rinforza l’animo, lo spirito, il carattere, e talvolta anche si fa forza delle cose semplici e scontate, a tal punto apodittiche da sembrarci una sentenza di Jacques de La Palice, come è nel superbo attacco di pagina centosessantuno, “È meglio ricordar le cose belle / che non le brutte, ed allietare il cuore”. Non vi è, in realtà, nulla di inutile o di scontato nel discorso intorno alla vita – e nella riflessione intorno alla morte, così presente in queste meravigliose pagine – che Belardinelli conduce con la suprema grazia dell’ironia, per cui ciò che appare evidente e quasi inutile da dire, in realtà è un’arguzia che sottende un’interrogazione profonda, quasi una verità aforistica basata su una constatazione ovvia che all’improvviso, proprio perché così lapalissianamente invocata, appare incerta o quanto meno assai meno sicura di prima. Che in fondo Belardinelli sia un uomo sostanzialmente ironico e uso a scherzare e a non prendersi troppo sul serio lo dice lui a noi attraverso il superbo distico a rima baciata di pagina centosettanta, “Se comunque vivrò, mi sarà caro / di non comportarmi da somaro”. E si legga ancora con attenzione la poesia di pagina duecentotre, Non so cantare ancora la dies illa, dove l’Autore scambia con grazia e con brillantezza il registro del tragico connesso all’evocazione del giudizio universale – da cui la citazione del dies irae, dies illa – con la rogna della vecchiaia e l’affievolimento della vena poetica, per poi concludere con l’immagine accecante di strazio e di struggimento del figlio che abbraccia a sé il padre morente e lo fonde e confonde nell’ardore delle sue passioni giovanili.
La poesia di Enzo Belardinelli si compone lungo un percorso quasi diaristico e giornaliero di riflessione ricapitolativa del ricco bilancio di un’esistenza umana in cui al protagonista tutto è toccato patire, come la guerra e i lutti famigliari, e in cui molti doni del destino e altrettanti premi al suo buon impegno volenteroso sono giunti a riempire di gioia le sue giornate, come l’amore della moglie, della figlia e dei nipoti. Ma il bilancio si conclude con un positivo profitto che l’Autore non colloca per nulla nella soddisfazione per i beni materiali raggranellati con la fatica del lavoro, bensì nel testamento morale elaborato riflettendo, in versi poetici, sulla sua indomabile gioia di vivere e sul garbo del suo sapersi gestire con buona volontà nella prudenza di un sorriso colmo di dolcezza e di gentile ironia.

Sandro Gros-Pietro

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