Premio I Murazzi per l’inedito 2012 (dignità di stampa)

Motivazione di Giuria

 

Con l’elaborazione di un linguaggio sobrio ed efficace nella pienezza di una comunicazione argomentativa di approfondimento e di estensione del discorso poetico a una pluralità di temi della modernità e della tradizione, Paola Grandi raggiunge una definizione della poesia come moderno giardino delle delizie, che agita nella mente il ricordo della tradizione medievale dell’hortus conclusus, cioè del giardino delle erbe medicinali, ma che è in realtà la proposta innovativa di fare convogliare nel linguaggio della poesia la difesa strenua e incorruttibile delle autenticità della lingua e dei valori della cultura.

 

 

PREFAZIONE

Il bel titolo che battezza questo nuovo libro di poesia è felicemente rappresentativo non solo della lirica eponima destinata a una figura cara nella memoria della scrittrice, ma del suo intero sistema poetico, che inanella una ricca varietà di temi e di contenuti, sempre affrontati con il candore del linguaggio sobrio, efficace ed elegante. La Grandi è una capace scrittrice di saggi, romanzi e poesie, che svolge con passione la sua attività di promotrice della cultura umanistica, in modo ancora più encomiabile, in quanto proviene da studi orientati nell’ambito delle scienze e delle tecnologie, campo in cui ha saputo eccellere non meno che in quello letterario. Forse, proprio questo carattere di ambivalenza dei suoi interessi di cultura sta alla base dell’ampiezza dei temi toccati ed efficacemente sviluppati dalla sua poesia, fino a comporre la metafora di una collana di ambra, dalla luce calda e gentile, che sembra avere imprigionato al suo interno un antico e luminoso calore di vita.
Al primo posto fra le tematiche ricorrenti va ricordato l’omaggio di stupore e di ammirazione reso alle bellezze e ai misteri di Gea, il pianeta personificato in un’entità quasi umanizzata, come se la poetessa volesse alludere all’identità e unità insolubile del destino della Terra e dell’uomo, che, abitandola e avendola ricevuta in dote come in un coniugio primordiale, la può rendere rigogliosa e amica ovvero inospitale e feroce. Si trovano così pagine meravigliose di versi dedicate alla bellezza dei colori della natura, alla delicatezza dei fiori, all’alternarsi delle stagioni, all’azione di erosione, trasformazione e maturazione esercitata dal tempo su tutte le espressioni cicliche assunte dai tre grandi regni della natura, animale, vegetale e minerale. Ed ecco che, quasi a specchio, affiorano nelle pagine le altrettante mutazioni, di grazia e di dolore, che si avvicendano nella vita degli uomini: il fremito della attesa, la dolcezza dei sogni, l’amaro delle disillusioni, la perdita delle occasioni non colte, la conservazione nostalgica dei ricordi, la ricomposizione accorata e temperante delle speranze, in una propensione dell’anima a rendersi partecipe e consenziente alla logica evolutiva dei fenomeni nel succedere inesorabile dei fatti di vita. In questa dimensione di ricapitolazione dei significati e dei valori, trova spazio la corrispondenza delle affinità elettive fra poeti e l’affettuoso richiamo alla poesia di Eugenio Morelli, il poeta triestino, noto anche per essersi schermato con lo pseudonimo di Signor Nessuno.
Tutta la poesia di Paola Grandi trasmette al lettore la sensazione di un movimento in avanti che, pur nella sua circolarità, ispira una concezione evolutiva e progressista delle idee e delle cose che ci circondano. In metafora, il viaggio si compie anche attraverso la geografia dei luoghi più amati dalla poetessa, che vengono rivisitati in versi, nel lucore di una rivisitazione di affezione e di dolcezza, come è di Genova, Trieste e di tutta l’Emilia Romagna. L’acme di maggiore pathos in questa raffinata rassegna di emozioni poetiche viene raggiunto quando la poetessa, nell’evocazione quasi orfica e comunque nostalgica dei sogni d’amore, giunge a trattare il tema delle occasioni perdute, in una chiave proustiana di ricollocamento della memoria e di rilettura delle occasioni, in modo che paiono testi di mirabile luce quelli centrali di Le ingannevoli attese, L’altrove, Vivere per un’assenza, Quarant’anni e altri ancora. Ma la ricchezza dei temi poetici coltivati con amore e sapienza dalla poetessa le permette di fare un salto a ritroso nel tempo di circa 2700 anni e di rivisitare l’antica Grecia di Archiloco e dei poeti che seguirono, come Pindaro, Bacchilide, Anacreonte e altri. È un tuffo nella storia delle nostre origini, che la poetessa sa riscattare dalle condizioni di museali in cui normalmente ai giorni nostri è gestita nelle scuole l’antichità ellenica e ci sa presentare in uno spumeggiante rianimazione di attualità. Nella complessione armonica dei differenti contenuti e delle svariate tematiche si ricostruisce infine un’unità d’insieme che assume il carattere del giardino delle meraviglie, come se la poesia fosse quel tale hortus conclusus o giardino difeso e recintato, messo a custodia dei valori strategici dell’esistenza, perché colà si coltivano le erbe medicinali dei monasteri, ma è anche metafora della verginità della sposa, ossia dei valori della poesia che non sono corruttibili da parte della mondanità, come è nella allegoria del Canto dei cantici, ove lo sposo si rivolge alla sposa dicendole, “Giardino chiuso tu sei, sorella mia, sposa, giardino chiuso, fontana sigillata”.

Sandro Gros-Pietro

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