PREFAZIONE

Il mondo descritto da Luisa Gregorj nei suoi racconti trae spunto da quella borghesia onesta e lavoratrice italiana, che raccolse il testimonio del progresso consegnatole dalla vecchia italietta agricola venuta fuori dai fumi rivoluzionari del Risorgimento. Pinocchio e Cuore descrivono ancora un mondo ormai totalmente scomparso, nel quale trionfa la logica contadina di un Paese unito dall’ignoranza e dalla superstizione, e nel quale il fluire del tempo è ancora segnato dalle stagioni meteorologiche e le attività manifatturiere sono poca cosa e quasi sempre legate ai prodotti della campagna. Ma già con De Amicis, più moderno di Lorenzini, il baricentro del mondo si sposta dalla campagna alla città, anche se in città i protagonisti delle vicende dei suoi racconti si ispirano ad una logica di vita prettamente contadina, tiranneggiata dagli umori insondabili della natura. La Grande Guerra segna un baratro che separa in modo irreparabile i due mondi e i due modi, del prima e del dopo. E proprio dallo sfondo della tragica conclusione della prima guerra mondiale, che rappresentò una vittoria politica e militare per il Paese ma che costò prezzi altissimi in termini di vite umane e di trasformazioni sociali, si collocano i racconti di Luisa Gregorj, che prende a descrivere l’operosità, l’allegria, le attività, i sogni, le virtù e le debolezze della borghesia media del tempo e delle sue successive modificazioni. La rappresentazione è fatta al passato, in una atmosfera di nostalgia che avvolge in velo le persone e le cose. Tutto ci sembra irradiato dalla evanescenza del sogno: i collegi delle educande; le scuole in cui insegnano figure femminili rappresentanti il processo di emancipazione della donna, come lo diverrà la direttrice Liana; le ville di campagna ove scorrazzano i cani Diana e Fido con il nugolio dei loro cuccioli; le passeggiate sulla marina ove s’incontrano vecchi e dignitosi pensionati che ruminano in sé i tempi passati; la vita goliardica patavina che celebra con un continuo gioioso carnevale le regole della società, vuoi da accettare vuoi da sdrammatizzare; la licenziosità clandestina delle prime case private di piacere sorte sul divieto della prostituzione di stato decretato dalla legge Merlin; le storie d’amore anticipate da improbabili profezie di frati indovini i quali predicano il futuro che realmente accadrà, anche se con soluzioni differenti da quelle da tutti paventate; il fecondo amore costruito nell’affezione e nella collaborazione di Gina e di Nando, che insieme adottano nel neologismo gerundiale e allusivo la serena operosità della loro solare esistenza, ginando; la trasformazione dell’ambiente e la scomparizione delle fontane bianche cui le greggi alpine andavano ad abbeverarsi, divenute un’impropria pista di pattinaggio per turisti, ora che tutto il mondo borghese, nella modernità e nel consumismo della diffusa ricchezza, celebra i fasti fatui e contaminanti del divertimento modaiolo. La successione di questi e altri racconti traccia un percorso della memoria che, non necessariamente in modo rigidamente sequenziale, conduce il lettore dal periodo fra le due guerre mondiali alla pienezza del miracolo economico di fine secolo. Ma non si tratta di una ricostruzione condotta con il puntiglio dello storico, in quanto ciò che alla scrittrice interessa è, invece, sfumare l’attenzione sui particolari di luogo e tempo per fare emergere, al contrario, in ogni luogo e tempo della memoria, il trionfo della vita e del bene sopra le manifestazioni della morte e del male. Luisa Gregorj è una scrittrice innamorata della bellezza della vita ed irrimediabilmente ottimista, capace di credere che la vita trionfa ad oltranza sugli inganni, le insidie e gli attentati che continuamente vengono orditi dagli stessi uomini, vanamente cupi e tenebrosi, nei loro luciferini progetti di devianza, destinati ad essere sconfitti e superati dalla forza rigeneratrice della natura. Nella poetica di Luisa Gregorj vi è l’allusione, non apertamente professata ma silenziosamente sottesa, ad un ordine armonico delle cose, per cui l’universo, pur nell’apparente degrado contraddittorio delle sue manifestazioni, non sembra essere destinato a sprofondare nel caos della disperazione. Ci salvano dalle tenebre le manifestazioni fugaci ed improvvise di luce ossia ci salvano le “lucenti conchiglie” e le “pagliuzze d’oro”, i “pensieri che vanno e che vengono come onde del mare”: sono questi momenti estemporanei ed inattesi ad essere i più autentici ambasciatori di quella serenità, armonia e felicità che soprassiede ai destini del mondo. Gregorj ci consiglia di cercare nella luce del quotidiano vivere l’orma dell’eterna vita. Proprio da questa osservazione, scaturita dalla conciliazione con la realtà del mondo, nasce la metafora delle piastrelline e ricordi, cui si ispira il titolo della raccolta. Per usare un noto ossimoro, ogni piastrellina rappresenta l’ombra di luce che viene irradiata da un fatto di vita quotidiana, uno dei tanti fatti che sono raccolti come fiori prataioli o come frutti di bosco in queste stupende pagine. In aggiunta, possiamo ancora ricordare che tali piastrelline, oltre ad essere una metafora letteraria, sono anche dei magnifici oggetti di manifattura artigianale ed artistica, provenienti dalla Fornace Gregorj, che per tanti anni le ha prodotte per la decorazione delle case della buona borghesia italiana. I ricordi, infine, alludono al processo di amarcord con cui fellinianamente la Gregorj costruisce la sua poesia romanzata: il ricordo è la sostanza del racconto, è l’autentica materia della vita; è il cemento che tiene insieme ogni casa dentro cui noi abitiamo e in cui ci identifichiamo, fino quando può arrivare ad essere la nostra insuperabile prigione, cioè le mura di contenimento oltre cui non andremo mai e che ci seguono anche sulla marina, ultimo approdo di ogni viaggio di libertà. Così la Gregorj, infatti, ci lascia intendere nel racconto ispirato al film di Vittorio De Sica e Cesare Zavattini, Umberto D. Nel film, in chiave neorealista, si racconta la storia dell’anziano pensionato Umberto Domenico Ferrari, che cerca di opporsi al progressivo franamento nella solitudine e nella povertà della sua esistenza, fino a concepire il suicidio; lo salverà il cane Flik, che si opporrà alla morte tentando la fuga. Umberto, privato del conforto del suo unico affetto, non può più morire e, allora, decide di seguire il suo cane lungo il percorso di luce della vita, la semplice piastrellina, che la bestiola quotidianamente propone al suo padrone.

Sandro Gros-Pietro

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