Prefazione

Mario Parodi è un entusiasta.
Chi lo conosce un minimo lo sa bene. Lo capisci subito, in qualsiasi occasione. Quando te lo ritrovi davanti sul campo da calcio a 5, quando passeggia per le sue amate Alpi, quando sfreccia sulla sua bicicletta, quando legge, quando scrive, quando ascolta il jazz. Lo era certamente anche quando insegnava lettere alle scuole superiori.
In effetti enthousiasmós è un termine che ho imparato al liceo. Durante il mio esame di maturità, la mia professoressa di greco e latino, dopo essersi sorbita la mia interminabile “tesina” sul jazz, ricollegò proprio all’enthousiasmós il mio discorso sull’improvvisazione, facendomi leggere e commentare (per la mia grande gioia, come il lettore può immaginare) questo passo del De rerum natura:

… sed acri
percussit thyrso laudis spes magna meum cor,
et simul incussit suavem mi in pectus amorem
Musarum…

Ma, se Lucrezio continua il suo proemio con la ben nota metafora del bicchiere d’assenzio cosparso di miele, inganno necessario per far bere l’amara medicina ai bambini, nel mondo poetico di Parodi non c’è alcuna pretesa didascalica, e soprattutto non c’è spazio alcuno per l’aspro del vivere. Perfino la presenza della morte è neutralizzata, stemperata nell’immagine vitale – quasi tolkieniana – del lago di Unghiasse, nelle Valli di Lanzo.
Forse l’enthousiasmós di Parodi è più simile a quello di cui parla Robert Maynard Pirsig, nel suo Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta:

Ti colmi di enthousiasmós quando sei stato tranquillo abbastanza da vedere, udire e sentire il vero universo, e non solo le opinioni stantie che hai di esso. Ma non è niente di esotico. Per questo la parola mi piace tanto. Lo si nota spesso in quelli che tornano da lunghe, tranquille vacanze di pesca.

Più che di amore delle Muse, si tratta quindi di contemplazione: è dall’osservazione della vita, nelle sue differenti forme, che sgorga ininterrottamente, quasi senza controllo (per sua stessa orgogliosa e significativa ammissione), il flusso poetico del nostro autore.
Certo, quella di Parodi non è “scrittura automatica” nel senso che intendevano, ad esempio, i poeti surrealisti spagnoli, come Rafael Alberti o Federico Garcìa Lorca. Il flusso delle associazioni di idee parte sempre da una fonte conscia e consapevole: un ricordo legato alla musica, o al titolo della composizione, o ancora il suggerimento diretto da parte di uno dei musicisti. Non è molto diverso dal modo in cui un solista jazz improvvisa sulla struttura di un tema.
Il jazz non è quindi, per Parodi, soltanto fonte d’ispirazione, ma è anche modello formale. Il suo strumento è la parola scritta. Ed è suonato con passione e foga, come un sassofonista free in un disco della E.S.P. di fine anni Sessanta: uno di quelli che sono irrimediabilmente finiti fuori catalogo, che trovi in qualche mercatino dell’usato, che compri a scatola chiusa e che, dopo il primo ascolto, metterai sempre sul piatto con un sorriso. Buona lettura, quindi. O meglio ancora, buon ascolto.

Simone Garino
Torino, 26 novembre 2013

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