Questo libro di versi di Rossano Onano risulta essere composto da altri sette libri di poesia. Se si usasse l’espressione di libro dei libri, sommuoveremmo pudore per l’eccessiva enfasi biblica. Il titolo, tuttavia, è un offerente predicato religioso: evocazione, soggezione e ribellione nei confronti dell’ordine dell’universo, parafrasi che allude al disegno della volontà di dio o semplicemente a dio, tout court. Al centro del discorso poetico dell’autore, a giudizio di chi scrive, deve essere collocata la visione e la rappresentazione di ciò che potremmo definire la pragmaticità religiosa, che è come intendere quell’intreccio di obiettivi culturali, utilitaristici e funzionali che la religione svolge tuttora e che ha sempre svolto in passato nell’architettura sociale di una qualsiasi polis, cioè di un consesso umano organizzato e autoregolamentato, più propriamente diremmo codificato. Potremmo individuare il referente culturale di questi biblia di Rossano Onano in Émile Durkheim, nel suo studio intitolato Le forme elementari della vita religiosa, nel quale si afferma che “il rituale funziona come l’officina del fabbro, è la fucina in cui i membri di una collettività sono gettati e dalla quale usciranno profondamente segnati e codificati”.
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Vale la pena di citare un saggio ed esaustivo parere di Rea Silvia Motti sulla poesia di Rossano Onano, ove si mette bene in luce l’impegno di intellettuale, la ricerca esistenziale e il metodo di indagine narrativa adoprata dal poeta: “Ben difeso dal suo armamentario straniante, di poeta alessandrino maledetto, precipitato per sua unica colpa nella nebbia più fitta di un fine secolo attentamente considerato con la sollecitudine intellettuale dell’interprete instancabile ed originale, il poeta cerca il contenuto della poesia nell’autenticità della sua esperienza esistenziale della realtà. E indaga/racconta, com’è ormai il suo costume, frammenti di verità con un realismo esasperante, lasciandosi guidare dal suo stesso mestiere di poeta elegante e tuttavia imperfetto all’espressione di un sentimento dell’essere che è tutt’uno con il suo pensiero.”
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Fondamentale cura pone Rossano Onano nella scelta e nell’impiego del linguaggio poetico. Giova al riguardo richiamare quanto aveva già scritto il compianto Silvio Bellezza, nel 1995 sulla rivista Vernice: “[…] parole che vengono modellate in modo inusitato, e, altrove, costruzioni grammaticali del tutto inedite, uso ricorrente di parentetiche piuttosto lunghe, nelle quali si riscontrano parafrasi pertinenti – anche in senso ironico – o in qualche modo attinenti alle proposizioni che immediatamente le precedono.” Esempi di questo lessico inusitato – ma ormai sappiamo che dovremmo definirlodeformato e rovesciato, nel senso che abbiamo voluto attribuire prima a tali qualificazioni – possono essere i vocaboli trafittiva, inquietanza, scomparito, sofferivano, evitazione, sospettanza, aspettature, festeggiatura, sottomissive ed altre soluzioni che lasciamo cercare alla pazienza del lettore. Un tale lessico, tormentato e deturpato dai bombardamenti distruttivi dell’autore, impiega, tuttavia, con sorprendente leggiadria vocaboli che sono dei raffinati arcaismi come beccheria e cerusici, o termini presi a prestito dalla medicina come Tegretol o catatonie o termini zoologici come chelato, ed altre numerose e godibili occasioni di ricchezza e di sapienza espressiva, incastonate con gusto e naturalezza nel fluire del dettato.
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Sandro Gros-Pietro, dalla prefazione

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