Bandella

Come si può desumere dallo scherzoso eppure celebre titolo del libro, Razza nostrana, tratto dall’antologia di liriche in lingua piemontese, Rassa nostran-a, del noto poeta torinese Nino Costa, pubblicata postuma da Viglongo, il libro di Carlo Bosso rivitalizza lo spirito valoroso dei piemontesi, ma sapientemente è orientato dall’autore in dolce ironia. In piemontese, infatti, l’espressione rassa nostran-a è da sempre – e ancora oggi – riservata agli animali caprini, ovini e bovini degli allevatori locali cispadani, e non è certo impiegato per indicare esseri umani. Tuttavia, Nino Costa, riprendendo una tradizione antichissima che risale a Esopo e che passa per Fedro, anziché antropomorfizzare gli animali, gioiosamente animalizza i suoi conterranei piemontesi e li etichetta con un’espressione da premiata stalla, cantandone poi le virtù degli uni e degli altri, scelti tra le diverse zone del Piemonte.
Carlo Bosso si riallaccia a tale scherzoso inno di patriottismo d’allevamento, elevato alla dignità degli alti cieli della poesia in lingua piemontese, per proporre la sua operazione di archeologia dinastica che lega il suo nome di purissimo bôgianen taurinense ad una stirpe intraprendente, valorosa e coraggiosa di piemontesi che hanno arricchito L’altra metà del mondo, precisamente l’Argentina, formando una sorta di colonia piemontese, diffusa a diaspora, nelle città di El Trébol – dicasi Il Trifoglio –, Rosario, Salta, Santa Miguel de Tucman e molte altre ancora, dando prova di ottime capacità imprenditoriali, ma anche di eroismo politico e sociale, nonché di vocazioni artistiche e culturali.
Il libro spalanca davanti agli occhi del lettore una galleria di alacri personaggi, che principiano anche prima del 1869, anno in cui nasce Don Horacio Bosso coetaneo del futuro Re d’Italia Vittorio Emanuele III e suo presunto fratello di latte, forse allattato dalla stessa nutrice, per arrivare fino alla contemporaneità attuale di un’Argentina che pare essersi per sempre liberata dalle dittature militari, anche grazie all’eroismo di Carlitos Bosso e della sua giovane sposa, Maria Isabel Salinas. Sono pagine di elegante esposizione letteraria dei luoghi e delle genti dell’Argentina, e che traggono il modello niente meno che dall’aureo esempio di Wolfgang Goethe del suo Viaggio in Italia, ma che sorprendono per la loro vivida attualità e per l’innesto così curato e pertinente nell’epopea della emigrazione italiana nell’America, oltremodo avvalorato con una specifica appendice di natura scientifica e statistica, nonché con un piccolo dizionario di luoghi e di modi dell’Argentina e con una veritiera rassegna fotografica ispirata ai contenuti del libro. Si tratta di un viaggio intorno a Carlo Bosso e ai suoi omonimi nel tempo e nell’Altra metà del mondo, ulteriore romanzo di anticipazione del presente, che va senz’altro letto come completamento della Pleiade di questa prosa dettata dallo spirito di conoscenza dell’umanità.

Sandro Gros-Pietro

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