Prefazione

Da sempre il pensiero umano si cimenta con l’arduo tentativo di unificare, o conciliare tra loro, le opposizioni fondamentali della realtà. Quello che la comprensione analitica divide, lo sforzo di sintesi tenta di riunificare per ricondurlo all’unità semplice originaria. Il compito che Aldo Sisto si è assunto, cercando di discutere l’eredità del celebre schema dualistico cartesiano, ha travagliato le filosofie di Spinoza, di Leibniz e dell’idealismo prima tedesco poi europeo, e anche italiano, che l’autore mostra di frequentare citando il grande pensiero di Gentile.
Un percorso “dal cervello allo spirito” è un disegno ambizioso, che l’autore del saggio affronta in una serie di quattordici “riflessioni”, animate dal proposito di conquistare un terreno di conciliazione tra le pretese scientifiche di base materialista e le esigenze metafisiche e religiose avanzate dalle grandi filosofie di origine greca.
Il percorso di Sisto è mosso, mi pare, da un’esigenza particolare, quella di non abbandonare la certezza di realtà che è propria del senso comune, il “substrato di realtà oggettiva”. Esigenza che nasce dal confronto con gli esiti scettici e relativisti che egli attribuisce al pensiero di Nietzsche, citando di lui “l’unica verità è che la verità non esiste”. Questa preoccupazione induce l’autore a stabilire un grado di certezza imprescindibile a partire dal mondo fisico. Su questo terreno egli mostra un’informazione aggiornata sulle correnti del pensiero scientifico moderno e la loro incessante ricerca.
Caratteristica del metodo di Sisto è di attribuire valore veritativo al disegno di realtà imposto dalle scienze positive del nostro tempo. Egli per esempio ritiene indubitabile, forse un po’ aprioristicamente, la possibilità di conciliare i risultati delle scienze esatte, e il loro orizzonte epistemologico, con “l’idea biblica di creazione”, entro un quadro in cui evoluzionismo e creazionismo, determinismo e finalismo, biologia meccanicistica e costruzioni etiche e spirituali si incontrano.
In particolare Sisto individua nel cervello umano, cioè in un “soggetto intelligente” ma riguardato dal punto di vista biologico, la possibilità di “una collocazione razionale” di “tutta la fisicità del mondo e del cosmo”. L’uomo rappresenta il vertice del “processo evolutivo” e nel pensiero umano si riconoscerebbe l’attuazione di un disegno finalistico globale. Infatti “prima della comparsa sulla terra delle forme di vita superiori c’era il silenzio e il vuoto assoluto, intesi come materia che, pure nella sua diversificazione, non esprime nulla e tanto meno un obiettivo”. Dunque questo miracolo, a giudizio di Sisto, consiste “nella significazione di noi stessi e di tutto quanto ci circonda”. E tale condizione consente “inevitabilmente” di risalire alla metafisica e alla necessità di ammettere “l’esistenza di un’in­telligenza trascendente, che difficilmente si riuscirebbe a non chiamare Dio”. Si arriva così a riscoprire una prova classica dell’esistenza di Dio: quella del finalismo cosmico.
A suo giudizio, la “continuità e processualità dei percorsi evolutivi” basterebbero a confutare la pretesa di interpretare la vita attraverso la semplice casualità: egli richia­ma “il minuzioso meccanismo del corpo degli animali come dell’uomo”. Le conclusioni ateistiche dell’evoluzionismo di Darwin e, tanto per fare un esempio, il celebre saggio di Monod vengono così messi in discussione. Come si è detto, Sisto cerca insistentemente di ricondurre i concetti più famigliari del circuito scientifico contemporaneo, come quello di “sopravvivenza”, alle certezze professate dalla metafisica. Perciò vede nel bisogno di sopravvivenza fisica il “substrato” di una sopravvivenza anche “spirituale”, cioè “oltre la morte”. Ed è ben vero, afferma Sisto, che la sopravvivenza è quella della specie, e perciò il singolo uomo “sa benissimo che pensare di sopravvivere è il massimo dell’assurdità perché questo pensiero è una caduta nell’impossibile”; ma proprio questo induce molti a dedicare la loro vita a ideali mistici e religiosi.
Protagonista di tutto questo è dunque, sostiene Sisto, il nostro cervello, che è capace dì trasformare la finalità della sopravvivenza nelle espressioni spirituali, come l’apprezzamento estetico e la libertà individuale. In generale il punto fermo resta quello che “tutto ciò che arriva al cervello tramite i sensi ha un carattere di soggettività e di relatività perché ogni persona è diversa da tutte le altre ed elabora diversamente quanto le giunge”. Ciò non toglie, sostiene Sisto, che l’esigenza kantiana di una “cosa in sé” con “un carattere di invariabilità e obiettività assoluta” o quella newtoniana “che considerava tutti gli oggetti come una realtà fissa” resti aperta e porti alle due direzioni fondamentali, “o in senso materialistico o in senso idealistico”. Dunque il dualismo cartesiano citato da Sisto tende al monismo che è proprio di quelle direzioni filosofiche.
Sisto riporta l’esito di questo al motivo già citato: “è stato l’uomo il primo sul nostro pianeta (o nell’intero universo?) a ‘far essere’, in un certo senso a ‘creare’, cose e fenomeni… Prima di questo sforzo tutto l’esistente era immerso nel caos”. Il linguaggio umano ne è pertanto la forma e il risultato, in un rapporto originario e inseparabile con l’essere umano. L’uomo in un certo senso, linguisticamente, “crea” l’universo.
Tuttavia si tratta pur sempre di una prospettiva rischiosa, come attestano gli esiti problematici della filosofia moderna e contemporanea, dove si apre il campo a un processo di de-realizzazione del mondo. Il crollo del concetto di realtà, a dire di Sisto, prende le mosse da Nietzsche con il conseguente nichilismo. Anche il “principio di indeterminazione” della fisica del 1900 pone le premesse di una sorta di negazione della realtà. Ma nel principio dell’autocoscienza si apre invece la via dello spirito, qualcosa, dice Sisto, di cui facciamo esperienza quotidiana e che costituisce il nostro stesso essere.
In particolare l’autore del saggio riflette sul fatto che “una massa di materia grigia che può essere comodamente contenuta in un sacchetto di plastica si trasforma in spirito, assumendo il carattere dell’immortalità”. Anche Dio viene riconosciuto “dal prodotto del cervello” come “artefice della materia”. Egli ha raggiunto così “una visione circolare perfettamente identica a quella cristiana”. C’è da credergli? Forse sarebbe da considerare più a fondo il fatto che il nostro cervello resta pur sempre “un oggetto” del pensiero, e non mai soggetto pensante.
E si potrebbe a questo punto, e in conclusione, porre all’autore una domanda. Il dualismo cartesiano è potuto sfociare in monismo, e quindi in un tentativo di unità, quando la filosofia si è mossa a partire dalla metafisica (sostanza, idea, Io, assoluto, ecc.) con un procedimento fondamentalmente deduttivo, che richiamava il processo neo-platonico che parte dall’Uno. Ma il nostro autore non intende abbandonare la base (apparentemente) solida del nostro cervello biologicamente inteso. Una strada che almeno in prima istanza fonda le sue pretese solo sulle certezze scientifiche, di cui egli mette in discussione gli esiti materialisti, ma non la pretesa veritativa.
Sisto, nel suo generoso tentativo di fare ordine tra scienza, metafisica e religione, mantiene una ferma fede che tutte e tre vadano nella stessa direzione. Magari su questo problema scriverà un altro libro, e questo è un incoraggiamento a proseguire le sue ricerche in campo filosofico.

Marcello Croce

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