Premio I Murazzi per l’inedito 2010 (dignità di stampa)
Motivazione di Giuria

Per l’impasto di carne e di spirito e per l’urlo, di una ansiosa e necessaria speranza in Dio, tra delirio di disperazione e luce della ragione, con la mente esercitata nella lettura di libri sacri e profani, col cuore aperto al dono di sé e alla storia: la Giuria ha attribuito la dignità di stampa anche per il valore e per i meriti conseguiti dalla scrittrice con i precedenti libri pubblicati e per la professione svolta dalla scrittrice di studiosa di discipline pedagogiche.

PREFAZIONE

Questa non è una pipa, afferma René Magritte a commento dell’immagine iperrealistica di una magnifica pipa Peterson che ricorda il personaggio di Sherlock Holmes. Questa non è una poesia, possiamo affermare noi dopo avere letto il mirabile libretto di poesie di Angela Donna, Salmi della notte. Dio del vero desiderio. Intendiamo dire, insieme con Magritte, che ci assiste, ci conforta e che sottoscrive in pieno la validità del ragionamento: si tratta di una rappresentazione della poesia, ma non è l’oggetto poesia, cioè non è la cosa in se stessa ma è, invece, l’evocazione della cosa, ottenuta usando il linguaggio astratto e codificato, per simboli e per metafore, tipico della poesia. Angela Donna destruttura la poesia. La smonta, la scompone, se vogliamo la miniaturizza, ne fa piccoli modellini, addirittura microscopici, la riduce a versi costituiti dal solo articolo “il” oppure la dilata iperbolicamente perché passa al microscopio l’estasi di un pensiero lirico e lo fa divenire una parafrasi molto densa o un’elencazione ossessiva di anafore. Ovviamente, Angela Donna non fa nulla di nuovo e meno che meno di sacrilego. Basti pensare al Gruppo 63 e alla poetica di Edoardo Sanguineti ispirata al destrutturalismo del linguaggio poetico. Ma la poetessa non propone neppure una citazione o, peggio ancora, una parodia dei Novissimi: lei non è interessata a fare hommages littéraires di pedante erudizione. Al contrario, indica molto bene il senso e il significato del suo obiettivo: “poesia come preghiera”, che poi deriva da precario, cioè indica la postura scomoda di chi avverte d’essere immerso nella temporaneità e nell’incertezza, e che si porta dentro l’attesa di una soluzione definitiva. Una poesia precaria, dunque, diviene in Angela Donna la rappresentazione della poesia a contenuto religioso. Si tratta di una splendida intuizione, bisogna darne atto alla scrittrice.

Il libro si compone di tre parti.

La prima parte cita la celeberrima esclamazione di Isaia, “Tu sei veramente il Dio nascosto, salvatore di Israele”, cioè il “deus absconditus”, che non si vede e che non risponde all’invocazione degli uomini. Isaia è il profeta che più di ogni altro è anticipatore dei contenuti del Nuovo Testamento. La massima anticipazione che egli compie è proprio racchiusa nel concetto del “Dio nascosto”. A differenza dell’Antico Testamento, che rappresenta un Dio onnipotente e dialogante con l’uomo, il Dio del Nuovo Testamento non si rivela mai, neppure a Gesù che muore in croce sul Golgota e che esclama Elì, Elì Lema Sabachthani? (Dio, Dio, perché mi hai abbandonato?). Nel Nuovo Testamento, Dio è sceso fra gli uomini, e pertanto vive dentro l’umanità stessa, e si rende presente solo in quell’implacabile arsura di vita definitiva – oltre il precariato! – che divora il nostro animo. Dice splendidamente la poetessa, nella sua presentazione: “io non posso fare a meno di Dio […] il Dio dell’assenza, che non c’è, che non sento, che rifiuto, odio e bestemmio, è un Dio presente nella mia vita”. Ma si può odiare Dio? Sì, ma solo se è veramente un deus absconditus, cioè solo se è nascosto dentro l’umanità, se si è consustanziato con l’uomo. Certo Mosé non avrebbe mai potuto odiare il Dio che gli parlava dal roveto ardente: non sarebbe stato neppure immaginabile un simile sacrilegio. Ma odiare l’uomo si può, anzi è facilissimo, per tutto il male che c’è dentro di lui. Dunque, si può odiare anche il Dio nascosto all’interno dell’uomo, pur sapendo che rappresenta il bene al di sopra di ogni altra cosa. È una contraddizione che ci sta benissimo, perché è molto umana, fino al punto di apparire magica, anzi divina.

Nella seconda parte, l’orientamento della ricerca è fornito dal Salmo 151, che per i cattolici è un apocrifo, proviene dai rotoli di Qumran, i manoscritti del Mar Morto, scoperti tra il 1947 e il 1956, è riconosciuto come parte integrante dei Salmi solo dagli ortodossi. Il tema svolto nel salmo ha avuto un grande sviluppo nella letteratura moderna, come questione che era dibattuta già molto prima che si ritrovasse il salmo specifico, apocrifa ovvero autentica che sia la datazione riconducibile all’epoca degli altri 150 salmi. È il tema della umanità elevata a divinità, stabilisce una difficile coabitazione tra la tensione spirituale e la fede religiosa: è l’oggetto di una fede abbagliante, ovvero di una ricerca umana ai limiti del sacrilegio, un’umanità che si auto investe di un compito divino, una sete spasmodica di una verità umana conclusiva e assoluta. È una zona di confine tra filosofia, poesia e religione che, a diverso titolo, è stata ampiamente rappresentata in Goethe, Rimbaud e Nietzsche e in molti altri autori, ben prima che si ritrovassero i rotoli e che poi ha avuto una successiva fortuna di ispirazione creativa a seguito dei ritrovamenti del Mar Morto. Mirabile espressione si trova nel testo contrassegnato ti ho chiamato a gran voce, preceduto dall’esergo tratto da Simone Weil, che insieme a Itala Mela sono le uniche due grandi mistiche esplicitamente citate nel libro. L’espressione è: “sei l’amore verticale”, da intendersi come discesa di Dio verso l’uomo, più che come ascesa dell’uomo verso Dio. Ma anche qui, c’è alle spalle la “scala verticale” sognata da Giobbe e percorsa dagli angeli che salgono e che scendono, a portare messaggi tra gli uomini e Dio.

La terza parte è il conclusivo bellissimo e delicato dialogo tra l’uomo e Dio, che divengono veramente i due sodali partner che compiono lo stesso viaggio dentro l’infinito mistero inesplicabile della vita, talvolta anche a parti invertite, con l’uomo che offre il suo perdono a Dio e gli promette una nuova esperienza: “dio padre ti perdono / e prometto che provo di nascere ancora / aurora già vecchia ma alba più nuova”. E tuttavia poco prima abbiamo letto il tormento di incredulità e di insicurezza tipico di Tommaso: “ma in qual modo procedere / senza stella polare / senza trigonometrie celesti / posando il piede in ombra / soltanto sapessi l’andare / andrei dio dei miei padri / dove sei?” Nel suo complesso, Salmi della notte è un unico poema scandito in tre parti, molto intriganti e intrigate, che hanno uno sviluppo di ricchissimo fraseggio poetico, sovente spezzettato e franto, in un’opulenza decorativa e costruttiva di metafore e di simboli, che si rivela altamente necessaria, anzi, si rivela per essere l’unico espediente possibile per rappresentare in modo simbolico la complessità pluralistica di un’umanità che è vista nella sua vocazione più nobile, cioè quella di riuscire a concepire dentro di sé un’inesauribile sete di sapienza e di amore, una ricerca totale del bene e un allontanamento definitivo dal male che sconvolge e stravolge tutte le azioni dell’uomo. Non c’è quartiere a tanto desiderio. Non c’è orizzonte di colonne d’Ercole che possa contenerlo. È questo l’autentico desiderio di Dio: qui espresso in una preghiera umana. Vale la pena ripetere che questa preghiera è, come l’etimologia lessicale suggerisce, una voce precaria, connessa alla natura umana dell’orante, che nel caso specifico è una donna del ventunesimo secolo, che parla del “Dio della sua cultura”, accettando di storicizzarne contestualmente il viaggio da lui compiuto dentro l’umanità, tra Antico e Nuovo Testamento, per giungere fino al suo radicamento nell’attualità culturale e ideologica dei tempi correnti. È viaggio poetico compiuto volutamente in sordina e in familiare colloquio, evitando ogni forma solenne del dire, ma anzi ricorrendo a un carattere corsivo volutamente minuscolo e corrivo, quasi affrettato, come a indicare l’estrema fragilità della persona e del tema, quasi il rischio dell’evanescenza o del soccombere davanti ai trionfi della mondanità e della materia, che sono così lontani da questo diario di vita metafisica. Il diario di un’anima bella.

Sandro Gros-Pietro

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da Salmi della notte. Dio del vero desiderio (2010)

 

di dio

ho creduto a dei e santi ho pregato e poi pregato battuto il capo sul pavimento ho riso allegra sragionando amore ho implorato di tutto cuore padri e madri terreni o eterei nel firmamento vento respiro di dio amen amin om aum suono verbo creazione spirito santo ho pianto ho imprecato ho delirato ho chiesto aiuto ho taciuto ho urlato ho infranto ogni umana dignità ho aspettato fede speranza e carità di dio ma io sola senza seme e senza senso spento ogni moto motivo motivazione disperata ribelle nelle tue mani dio di vendetta e dolore senza amore

 

 

orazione

dio della nostra assenza dio dell’impotenza dio del silenzio dio del nostro deserto dio del mistero dio del vero desiderio dio della morte dio del declino dio del nostro destino dio pieno dio vuoto dio rincorso dio sordo dio muto dio assoluto dio dannato dio non nato dio perduto dio solo dio del limite oscuro dio puro dio riposto dio nostro dio di tutta quanta la follia dio che va via dio della sorte dio di ventura dio che ha paura dio privo dio senza dio dell’angoscia futura dio di sciagura dio urlato dio non amato dio vento dio pregato a stento dio creato e creatura dio soltanto dio non so quanto dio di fango dio nel fondo dio bigotto dio lì sotto dio del nero dio quasi vero dio di dentro e dio di fuori dio senza valori dio bucato dio sempre malato dio senza ragioni dio stremato dio senza peccato dio perdonato dio del nostro perdono dio senza suono