Premio I Murazzi per l’inedito 2010 (dignità di stampa)
Motivazione di Giuria

Poesia di ricerca sperimentale sulla sapienza della parola e sul trasporto del logos poetico come irradiamento delle zone oscure del linguaggio fino ad ottenere l’abbaglio e le scintille di un progetto allusivo per predicati e formule brevi di verità: la Giuria attribuisce la dignità di stampa anche in omaggio alla completezza creativa della scrittrice che è nota pittrice e scultrice di livello nazionale.

 

 

PREFAZIONE

La poesia di Laura Rossi Ravaioli sviluppa un forte impatto impressionistico, in quanto i versi appaiono marcati dalla forza descrittiva e interpretativa delle suggestioni. Si legge nell’incipit del libro: “Catene di lettere ballano / come volano gli uccelli in cielo / ondose nel mare dei pensieri”. L’atmosfera evocata dalla poetessa è quella simbolista, tra il sogno e la visione illuminante. Non a caso poco più sotto incappiamo in una complessa sinestesia di suoni e colori: “toni avari perduti tra i respiri / in dolci sonorità sognanti, / piccolissimi ghirigori colorati”. Il linguaggio poetico è elaborato con un’orchestrazione corale degli strumenti espressivi, e si riferisce a immagini calcate e a panorami d’anima complessi. Le scene presentano quasi sempre un movimento degli elementi della natura, che libera fascini incantatori. Il rigoglio della rappresentazione è sorretto da un ricorso sostenuto all’uso di aggettivi qualificativi, per cui sulla pagina si campisce un intreccio, per quantità e per qualità, studiato e imponente. È, dunque, l’impianto di una scrittura di alta fattura e di splendida intensità, sorretta da una buona tecnica e da un ricco lessico.
I punti di forza di questa pienezza di linguaggio sono dati dai luoghi geografici in cui più forte si fa agli occhi della poetessa il richiamo della natura e della storia. Esattamente la natura e la storia sono le due direttrici, parallele come le rotaie di uno stesso binario, su cui corre il discorso poetico. Vi è un trittico privilegiato di mare-montagna-campagna che si alterna lungo tutta la dorsale del libro. Ma in fondo i luoghi che appaiono con più ricorrenza sono il Mare Ligure, principalmente di Portofino e dei paraggi viciniori; i due mari di Sardegna, che sono ancora il Ligure e poi il Tirreno; e, infine, il Tirreno nelle sue propaggini meridionali della Campania. La campagna è quasi esclusivamente rappresentata dalle dolci colline della Toscana; e la montagna, infine, dagli Appenini Ligure e Toscano. Sicuramente, l’Italia del Nord e Centrale rappresentano il caput mundi della poesia di Rossi Ravaioli, come l’italiano, perfetto e risciacquato in Arno, è il centro dell’espressione linguistica della sua poesia. Ciò non significa che non esistano anche altre località, con funzioni di genius loci di ispirazione della poesia, come fossero Venezia e la sua laguna ovvero le risaie del vercellese ovvero l’incantevole Ferrara e le glorie d’arte degli Estensi o altro ancora. Tuttavia, non si è lontani dal vero se si afferma che l’ombelico del mondo poetico di Rossi Ravaioli è rappresentato dal triangolo magico delle tre regioni del cuore: Liguria, Toscana e Sardegna. Queste “patrie elette” funzionano da simbolo rappresentativo di ciò che è posto, come si è già detto, alla base della cultura umana e in particolare modo della sensibilità poetica: cioè, la natura e la storia. Se da un lato la natura è l’autentica regina dominante nella pagina poetica di Rossi Ravaioli, la storia è altresì sempre presente, e si impasta con la natura, funziona da specchio dell’umanità, da memento, da memoria imprescindibile e da grande esempio da seguire. Al riguardo basti solo ricordare due poesie, che sono indicative del ruolo svolto dalla storia degli uomini insigni all’interno della poetica della scrittrice recchelina. La prima poesia è quella dedicata alla cittadina di Certaldo in Valdelsa, patria di Giovanni Boccaccio: “Certaldo, culla di Boccaccio / è immersa nella sua storia, / sostenuta da clivi di oliveti.” L’apertura è un forte richiamo a uno dei tre fondatori, insieme a Dante e Petrarca, della lingua italiana: quasi per sottolineare la fonte da cui sgorga tutto l’inchiostro possibile delle nostre parole. Ma poi l’intreccio poetico è subito votato al trionfo di una natura rigogliosa: “Biancori di infiorescenze / brillano di calda luce / tra gli stecchi invernali, / amenti penduli, pelurie verdi, / fremiti vitali schiudono i bocciòli”. Il secondo esempio si colloca ancora più in alto perché evoca la figura storica di uno dei più grandi geni dell’umanità, di cui vengono citate le espressioni personali in chiave autobiografica, tratte dai codici: “Le colline di Leonardo «Aveva posto mente dentro / a l’occhio, studiato la necessità / per aver cognizione / di quella innanzitutto»”. E tutta la poesia rappresenta una devota evocazione della figura del genio solitario, rappresentato nel trionfo armonico delle sue forme e misure, e nell’eccellenza dell’architettura della sua mente, col tripudio delle invenzioni, per giungere poco dopo alla chiusura finale, nella quale l’estasi ammirativa si fonde con la modestia della propria comparazione e trova uno sfogo di solidale dolcezza ancora una volta nello splendore placido del paesaggio toscano: “Io non sono nessuno, / ma la mia anima vibra / fino al pianto e tremo. / Solo l’immensa distesa / di uliveti che scollinano / mi dà una tenera pace”. Accanto al gusto dei classici di rappresentare la storia dell’umanità con le icone dei grandi uomini e specialmente dei grandi geni, in Rossi Ravaioli si afferma l’inclinazione tipica dei contemporanei di scegliere gli esempi magistrali da imitare tra le persone umili, il cui destino non è asceso agli altari della gloria, ma è rimasto catturato nel grigiore dell’anonimato, dove tuttavia ha saputo fornire grande esempio di moralità e di sapienza al microcosmo di persone che da costoro dipendevano. Sotto questo profilo, una delle poesie più belle in assoluto e più dense di significato è quella dedicata alla storia del padre della poetessa, il quale lascerà lo strumento – in metafora – della sua faticosa sapienza al nipote, per rinnovare l’impegno di una vita orientata verso uno scopo di pace e di progresso. La poesia è talmente bella che merita di essere citata per intero: “La bicicletta grigia / di mio padre passa a mio figlio. / Il suo naso era rosso di freddo / ma il cuore pompava agile. / Sotto la maglia di lana, / teneva il giornale ripiegato / ansimando col ciuffo al vento. / Non insistere con lo struscio, / uno solo per automobile. / La bellezza del mondo / ha sopportato troppi motori. / Evita l’arroganza, animato / da intuizioni ispirate, / la bicicletta può essere / linguaggio etico universale. / Sosti dove vuoi, ti senti / un dio con un piede a terra. / Prendila e lasciala a un altro. / Se ritrovi la lentezza, il sorriso, / rivedrai attorno a te i colori, / sarai arrivato ancora prima / con un messaggio di pace”.
Il linguaggio poetico di Rossi Ravaioli si compendia in un rispetto rigoroso della tradizione del lessico italiano che in lei, a differenza di altri scrittori della contemporaneità, non è per nulla trapuntato da barbarismi provenienti dall’inglese o da affrettate e improbabili traduzioni di vocaboli russi e cinesi, siccome sembra vada tanto per la maggiore. Ma rinvigorire la tradizione non significa anche rinunciare a promuovere il nuovo. Si tratta infatti di un linguaggio poetico di natura sperimentale, che cerca sempre una forma nuova di espressione e di ragionamento, talvolta risolvendo la frase in un galleggiamento di predicati nominali sospesi nell’ablazione delle forme verbali, una sorta di impasto magmatico dell’intreccio poetico che può alludere alla polisemia delle espressioni compiute a cui si potrebbe approdare.
L’approdo a cui punta la poesia di Rossi Ravaioli è indicato in nuce nel titolo dell’intero libro e si tratta di una condizione di barbaglio interiore di vibrazioni, luci, illuminazioni, piccole estasi che, lontane dal fornirci una weltanschauung valida per elaborare un’affidabile visione unitaria del mondo e una ricapitolazione conclusiva della verità, sia tuttavia in grado di trasmettere alcuni punti di orientamento e una sorta di casistica empirica delle categorie di valore, come se queste ultime fossero tante monete d’oro spendibili lungo la strada dell’arricchimento interiore e della conoscenza progressiva e approfondente del mondo e di noi stessi.

Sandro Gros-Pietro

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