Premessa dell’Autrice

Passato un po’ di tempo, riprendo sempre in mano raccolte e scritti miei inediti e li rileggo, a mente fredda e severa. Così ho fatto ora per Senza scam­po, dopo due-tre anni di stasi in una cartella, e non ho cambiato quasi nulla, fuorché quisquiglie, per quanto riguarda la sostanza. La prima parte è rimasta più letteraria, forse più intima, la seconda più storica e universale, come ha rilevato Silvio Raffo.

Testimonianze critiche

Questa raccolta è meno soggettiva e più universale, etica e addirittura escatologica.
Vi si condensa addirittura una microstoria dell’umanità dai suoi primordi a oggi. Il lessico è più duro e aspro e la dimensione psicologica quella del disincanto quasi disgustato di chi pretenderebbe un senso e una logica in un mondo privo di senso e di logica. L’immagine che resta più impressa è perché parola chiave di fragile cristallo.
Il concetto più importante almeno per me (quello in cui mi sono ritrovato di più) è l’inutilità del sacrificio di Dio fattosi uomo. C’è molta più amarezza che nell’altra silloge.
Un motto di Cioran che si adatta potrebbe essere tutto si degrada da sempre oppure per millenni non fummo che mortali. eccoci infine promossi al grado di moribondi. O anche: dopotutto non ho perso il mio tempo. anch’io mi sono dimenato come chiunque altro in questo universo aberrante

Silvio Raffo mail del 12 gennaio 2021


Senza scampo
è una scrittura ultimativa, il contrario di una scrittura imbonitoria, impositoria e assertoria, una scrittura che agisce come all’interno di una cella dove c’è un solo detenuto, in isolamento, a pane e acqua, e questo detenuto si interroga su sé stesso, su quanto può durare la sua attesa, la sua resistenza. In tal senso, lo scritto è veramente «senza scampo», non conosce altra soluzione che la mancanza di soluzione, non conosce alternativa.
Cara Edith, quando adotti il tono serio e intenso, ti preferisco, lo sai, raggiungi il diapason delle tue possibilità, vai al centro dei problemi: se la scrittura poetica sia una posizione di significati o sottrazione di significati. Qui sta il punto. Qui le due strade divergono: una va verso la poesia che ricerca il significato, l’altra andrà verso una scrittura che decide di non inseguire più i significati; la nuova fenomenologia del poetico che noi stiamo seguendo ha imboccato, lo sai, la seconda strada; ma tutto è opinabile, si tratta soltanto di scegliere una strada e, una volta scelta, proseguire su di essa.
La scrittura poetica, come la conosciamo, è «una produzione di significati», un atto di imposizione del linguaggio alle cose; quando invece la posizione del poetico dovrebbe essere un ritrarsi dal linguaggio, sostare un passo indietro, un attimo prima che la parola ci raggiunga, dall’esterno, con la sua dote di «imposizione», di Gestell avrebbe detto Heidegger; se invece andiamo oltre, se procediamo verso il linguaggio, con attese, con im-posizioni, con Gestell, ecco che quel linguaggio ci imporrà le sue regole di condotta e le sue scelte, il nostro linguaggio verrà intaccato dalla «im-posizione» dei linguaggi che provengono dall’esterno, dal mondo dell’utilitarietà, dal mondo delle condotte, delle pratiche, da ciò che è redditizio, dagli interessi in competizione, dall’interesse dell’io alla propria auto conservazione e alla propria im-posizione.

Giorgio Linguaglossa mail del 13 gennaio 2021

Ma chère Edith, je viens de lire ton Senza scampo. J’ai trouvé très belle et émouvante cette évocation de la vie, du mal, de la religion avec au centre du poème ton cri, ton invocation à ton père dont la trahison et la mort sont une blessure au coeur de ton oeuvre et de ta vie.
Merci aussi pour Un inverno di fuoco, ce requiem écologique que Diego De Nadai a accompagné de belles images et de cet Abendlied magnifique.
Il n’est pas de thème que tu n’abordes! Ta poésie prend en compte tous les thèmes universels mais aussi contemporains avec l’énergie et la présence au monde qui te caractérisent. Merci. Je t’embrasse affectueusement. Monique

Cara Edith ho appena letto il tuo Senza scampo, e ho trovato molto bella e commovente questa evocazione della vita, del male, della religione, con al centro del poema il tuo grido, l’invocazione a tuo padre, di cui il tradimento patito e la morte rimangono una ferita nel cuore della tua opera e della tua vita. Grazie anche per Un inverno di fuoco, questo requiem ecologico che Diego De Nadai ha accompagnato con belle immagini e un Abenlied magnifico. Non c’è tema che tu non affronti! La tua poesia prende in conto tutti i temi universali ma anche contemporanei con l’energia e la presenza al mondo che ti caratterizzano. Grazie. Ti abbraccio affettuosamente. Monique

Monique Maussion mail del 25 gennaio 2021

Sono scuotenti le tue poesie. Sballottano e ti attraversano come il rivestimento della terra, delle acque, delle croste, della lebbra, dei sogni e dei fantasmi.

Avrà da camminare
l’Uno, ancora e ancora
umana grezza bestia
attraversando boschi e scalando alture
prima di darsi pace
ché sfugge l’orizzonte nell’ora crepuscolare
dispettoso si nega
e mai lo si raggiunge
mentre su quel sentiero ancora strisciano
al suolo le colonne e le incrinature
d’un linguaggio miraggio
del tutto inconciliabile…

Questa “bestia” siamo noi, ciascuno alle prese con la carne marchiata dal linguaggio che ci lascia, alla fine e sempre, soli. Soli alle prese con la vita, la biologia di cui siamo fatti – e come lo dici bene –, sempre uno sfinimento, la morte che aleggia, la vita stirata da cima a fondo e ce n’è ancora, e talvolta pesa. Il muro! Tu, con questi versi, sei passata oltre il muro del linguaggio, sei andata dentro alla crepa – Ingeborg Bachmann e la sua crepa nel muro dove non c’è niente, nessuno –, la crepa che ci spinge – soprattutto tu – a scrivere. Dico tu, perché la tua poesia sembra un pezzo di corpo tuo. Un corpo che vive, che è stanco, che erutta versi magnifici, che teme, che ironizza. Sono una meraviglia! Macinano parole sottili, esangui, colorate, fonde…
Grazie! Per ora riesco a dirti solo questo, stordita, catturata, persa nella tua galassia, cavalcando le tue comete.

Céline Menghi mail del 26 gennaio 2022

Edith cara, in queste pagine ho ritrovato al massimo grado la tensione psichica e immaginativa che contraddistingue il tuo mondo interiore messo in parole.
Un mondo che con tanta potenza sai scaraventare fuori di te come un meteorite incandescente con cui, una volta che s’è impiantato nel paesaggio, tocca fare i conti. E tocca farli, è il caso di dire, “senza scampo”, senza la minima indulgenza, come nell’obbligo di confrontarci con una scheggia di realtà tanto spaventevole quanto misericordiosa, infissa in una realtà tanto ordinaria quanto torpida.
Anche qui, come altrove in te, c’è una gran massa di dolore universale succinto in quello di una voce singola che però sembra parlare a nome di tutti. Mi domando: di noi tutti? Di chi lo merita, almeno. E lo merita chiunque voglia intendere la voce del poeta. Ogni volta, leggendoti, mi sento proiettato in una dimensione radicale dell’etica. Non giudichi, ma chiunque abbia un tuo libro tra le mani è indotto a dire la sua; magari intimamente, tra sé e sé. Un abbraccio,

Giuseppe Manfridi mail dell’11 giugno 2023

L’uomo del terzo millennio ha ben chiaro in mente che la sua interpretazione del mondo è espressione binaria di conoscenza e di immaginazione. Noi siamo consapevoli dell’immensità cosmica in cui è immerso il nostro pianeta e della dispersione entropica a cui è sottoposto il cosmo, destinato a decadere nel nulla. Tuttavia, oltre alla conoscenza della realtà, l’uomo è l’unico essere del pianeta che ha sviluppato un immenso patrimonio di cultura che poggia solo sull’immaginazione, relativamente a cose che non ricadono per nulla sotto i cinque sensi; pertanto, non sono sperimentabili e probabilmente non esistono affatto. Il peso dell’immaginazione, cionondimeno, nell’attività cerebrale umana, ha da sempre avuto ed ha tuttora un’importanza che supera di gran lunga il peso rappresentato dal mondo reale, basti pensare all’importanza delle realtà virtuali nelle società avanzate del terzo millennio.
Conoscenza e immaginazione sono, dunque, le due parti che compongono l’ultimo libro di Edith Dzieduszycka: la prima parte riguarda ciò che è sperimentale, mentre la seconda parte riguarda ciò che è immaginario. Sia la conoscenza sia l’immaginazione sono senza scampo; cioè, sono destinate indiscutibilmente a degradare verso il nulla, perché è proprio questa la condizione dell’intero cosmo che, nello spazio infinito dell’universo, da miliardi di anni, si sta annichilendo nel vuoto assoluto e scompare nel nulla, benché nuove galassie appena nate continuamente appaiano dal vuoto, per poi iniziare a condividere il destino comune di disperdersi e scomparire. Qualcosa di simile è la vita magari centenaria di un essere umano, la cui durata è milioni di miliardi di volte più breve di un battito di ciglia.
Forse, come sostenevano i decadentisti, e con buona pace del quasi livore pessimistico dei nichilisti, i quali – come ben si sa – viaggiano al termine della notte senza provare alcun compiacimento dilettevole, ma poi si buttano nella Senna e muoiono cinquantenni anzitempo: l’incanto ineffabile di questa superba entropia disperdente e universale, in cui tutto è preso come da un vortice, rappresenta il più alto inno che si possa concepire per celebrare ciò che esiste e che ne dure qu’un moment, come recita la celebra romanza Plaisir d’amour. In fondo, va tenuto a mente che all’homo sapiens la realtà è sempre parsa una gretta stupidaggine, buona per chi non possiede la moltitudine. Molto meglio è gustarsi l’immaginazione, benché ne dure qu’un moment, e sia sicuramente senza scampo, come giustamente la celebra Edith Dzieduszycka.

Sandro Gros-Pietro mail del 24 luglio 2023

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