PREFAZIONE

Da 17 a Settanta

“Le lingue morte dell’amore erano ancora in uso,
ma anche tanto silenzio, tanto urlare muto
con quanto fiato si aveva in corpo.”
Charles Simic

Scrivere di Antonello Pelliccia è un po’ come scrivere di me. Sono troppe le cose che abbiamo in comune e che ci uniscono tra cui il Nuovo Manifesto sulle Arti, base del Movimento Empatico, scritto a quattro mani nel 2019.
Siamo nati con ventisette anni di distanza, entrambi di febbraio (lui il 19 io il 22) ma soprattutto siamo nati sotto una medesima stella, che sembra aver determinato un comune sentire. Me ne accorgo ancor di più oggi che, con candore, mi mostra questa sua raccolta di versi e mi conferma quello che io avevo sempre sostenuto, ossia che egli fosse, tra le altre cose, un poeta. Si regala la poesia per i suoi settanta anni e sono tra l’altro settanta poesie che iniziano, ironia del destino, da un primo ricordo che risale ai suoi diciassette anni, coincidenti con il 1970, facendomi sprofondare nella tenerezza pensando a come anch’io scrissi proprio a diciassette anni la mia prima poesia “Ceppi incerti”.
La poesia di Antonello Pelliccia è preziosamente e dichiaratamente autobiografica, sebbene intarsiata dal suo filosofare mai banale, mai ostentato, mai dichiarato, ma alto e profondo. Una poesia che riesce dunque a diventare universale molto spesso.
In questi versi si percepisce attesa, tensione, il buio che avanza, la luna, il cielo notturno come paradigma del vuoto, del vuoto infinito, il cielo di chi non ha cielo.
Quando scrive Pelliccia ha in mente le domande che sorgono scrutando i mutamenti nel paesaggio, il non rappresentabile, lo spazio dove abita l’ombra, il luogo fisico e la condizione umana dell’esistere inesorabilmente dipanata nel paesaggio stesso. Il suo sguardo verso la luce che si perde nei tramonti, nei ricordi, in passaggi fugaci in angoli conosciuti, sognati, remoti.
Ascoltare, osservare, dormire: perdersi nel buio assoluto come un fantasma uscito dal proprio corpo. C’è qui un’ispezione del so­gno, dell’ombra come dello specchio. Il luogo è, in questo autore, spazio definito dalle mura di una stanza, oppure il corpo, o magari il paesaggio quotidiano, vissuti simultaneamente da ognuno di noi.
Silenzi! Il decadrage: l’indipendenza dall’immagine, i singoli personaggi sconfinano e si perdono nel non-luogo. Raffigurazione non pittorica.
Antonello Pelliccia considera il proprio lavoro nella sua totalità, pensato come un’opera coerente che raduna al suo interno un gruppo di poesie che raccontano vicende, che seguono un filo logico univoco, per ottenere una continuità, una “scenografia dell’esistenza” si potrebbe dire.
I singoli testi sono strutturati per patterns: l’architetto, il paesaggista, il frontman, la rock band, il poeta, l’autoritratto, la notte… L’individualità propria di ciascuno è garanzia della libertà.
La vita dell’arte, la morte dell’artista. La morte… che non può essere la fine; è una morte di cui non si può morire, una vita che non si conclude, così come i Movimenti e le vicende artistiche che si susseguono nel tempo.
Nelle cose minime e nelle esistenze più fragili cerca, il nostro, la presenza oscura “dell’anima” per metterla in mostra, o magari per negarla, accettarla, ripudiarla. Pelliccia non sa darsi nessuna risposta nonostante le sue continue proposte di “verità”.
Questo libro è il tassello che mancava alla nostra indissolubile unione. Insieme abbiamo dato vita, come detto, al Manifesto sulle Arti; insieme abbiamo gioito e sofferto in tante lunghe giornate presso l’Accademia di Belle Arti di Brera prima, al telefono poi, quando la vita, ad un tratto, ci ha messi al contempo in ginocchio, colpendo con tutta la sua inaspettata ferocia, ma senza però vincerci perché ognuno di noi aveva l’altro su cui contare, perché gli uomini come noi resistono sempre, e cadono solo quando decidono che è arrivato il momento di cadere…
Come me Antonello è angosciato dalle arti che non possiede se non per primari e dolenti impulsi. Una prova lo sono queste poesie, coltivate nella terra arida e buia, che si distendono sulla pagina come luci ribelli ben disposte nei suoi paesaggi interiori. Infine, per tornare ai suoi temi e motivi estetici e sentimentali primari, non passa inosservato l’omaggio che l’autore ha voluto fare ai suoi miti: dal testo che rimanda ai Pink Floyd a quello che fa rivivere Robert Smithson, così come risuonano i Genesis, Ian Curtis, la parola di Blake o le geometrie di Mies.
Nel 1970, all’epoca diciassettenne, l’autore viveva il cambiamento in atto: la rivoluzione psichedelica, i fiori e i colori del movimento hippies. Guardava agli States, alla scena californiana mosso dalla curiosità e dalla voglia di conoscenza verso le nuove sperimentazioni intraprese nella musica, nell’Arte tout court. Cinema e Poesia d’avanguardia…
Death Valley. Il luogo desertico. Il vuoto come sentimento, isolamento, solitudine, stimolo verso la ricerca interiore, verso il misticismo. Si percepisce il fascino del concetto di entropia diventando così uno dei punti di riferimento per un nuovo rapporto tra arte e natura che ha avuto il suo momento culminante nell’arte ambientale degli anni Ottanta. La Spiral Jetty, opera ambientale di Smithson, divenuta una meta di pellegrinaggio dei Sonic Youth, band storica dell’avanguardia del rock.
Land Art significava uscire dai canoni retorici del fare, un cambiamento radicale, un’arte senza confini. Empatia! Spazi d’immensità in cui le tracce dell’uomo sono pressoché invisibili. È il vuoto che riesce ad esaltare una ricerca basata su forme elementari ed essenziali: caricandole di una forza ancestrale rievocano l’infinito in cui la natura appare al suo grado zero, al suo stato primo. Nella natura più cruda, più vera, l’autore avvertiva il coinvolgimento emotivo, lo sviluppo interiore del suo procedere verso nuove dimensioni, sentiva il bisogno di scrivere oltre che di progettare e dipingere. Ce l’ha fatta!
E poi, per concludere, lo studio dei classici: Paul Valéry, Eliot, Beckett, Montale, Wallace Stevens, Ungaretti e altri, prima, per poi probabilmente l’immergersi nelle letture degli autori della beat generationOn The Road di Jack Kerouac, Corso, Ginsberg. Su di lui si percepisce il fascino che hanno esercitato le sperimentazioni di William S. Burroughs che lo hanno portato a scrivere le sue prime poesie.

Menotti Lerro

Peso 0,3 kg
Dimensioni 15 × 21 × 2 cm
Anno Edizione

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