PREFAZIONE

Tra le parole più significative, che appaiono con una maggiore frequenza nelle poesie di Duccio Mugnai, il vocabolo anima certamente svolge la funzione di primazìa o addirittura di priorato.
Comunemente per anima – sia nell’antichità sia nella contemporaneità – si intende l’entità immateriale della vita dell’uomo, addirittura partecipe dell’esistenza di Dio. Di conseguenza è un vocabolo che trascende la realtà mondana e che è capace di transumanare la mente e il pensiero oltre la durata fisica della vita per immillarsi in una sequenza infinita di tempi della memoria e dell’immaginazione del futuro, al punto da divenire una locuzione dell’eternità. L’anima è un vocabolo di pertinenza sia dei linguaggi usati dalla religione sia è ingaggiato con disinvoltura e con efficacia dai linguaggi laici del più prosaico vivere quotidiano, basti pensare alla locuzione notissima la pubblicità è l’anima del commercio ovvero a quella più altisonante, pronunciata dall’alto dei coturni tragici, tipo la follia è l’anima dell’eroismo. Di conseguenza si parla dell’anima quando si è in compagnia di angeli e di cherubini, ma con uguale pertinenza si parla dell’anima con riferimento a un paesino o a una metropoli, per indicarne i luoghi più caratteristici. Addirittura, si discetta sull’anima di un motore o, peggio ancora, di un’arma da fuoco, per indicare la camera di scoppio ove avviene l’evento esplodente. In ogni caso l’anima è l’entità che sfugge all’ordinario e al banale, perché possiede il requisito dell’essenzialità.
Se leggiamo con attenzione le poesie di Mugnai ci rendiamo conto che per lui l’anima altro non è che la significazione psicanalitica del vocabolo vita interiore. Come tale, l’anima è l’orizzonte di tutti gli eventi che accadono e di tutti quelli che l’immaginazione riesce a configurare, a partire dai sogni armoniosi, ai diletti estasianti della bellezza e dell’arte – capaci di avvicinare l’uomo a Dio, si pensi alla Cappella Sistina! – alle emozioni e alle pulsioni dell’eros, capaci di suscitare ossessioni o al contrario armonie di infinita tenerezza. La vita interiore è la vera e autentica anima della Poesia di Duccio Mugnai: non ci sono convivi con le stagioni della natura, esaltazione di boschi e di verzicare di piante, soleggiate marine, panorami lacustri; non ci sono celebrazioni enfatiche della storia umana, poemi epici di eroi, e neppure canzoni d’amore dolcissime o contrastate tra lusinghe e repulsioni. C’è, invece, il trionfo della ricerca interiore del Sé, il riordino delle emozioni, lo spoglio e la sistemazione degli orientamenti, il recupero dei relitti, la ricucitura dei frammenti e delle pezze, l’annuario perennemente aggiornato e rivisitato degli eventi che hanno rappresentato la chiave di volta per la personale weltanschauung dell’artista.
Il bandolo della matassa di questo ideale filo d’Arianna che contrassegna la personalità di Mugnai risiede esattamente nel suo animo d’artista, sensibilissimo alla magia della creazione umana. Mugnai interpreta l’arte come l’anabasi verso l’infinito e l’eternità, in ultima analisi si tratta di un’ascensione di carattere religioso, ma contrappuntata dal passaggio nel deserto, con il rovello causato dalle tentazioni, dalle ossessioni, dagli impulsi che creano affaticamento della mente e del corpo. La figura di riferimento principale è sicuramente Cristo, anche se il Redentore appare agli occhi del Poeta divino, troppo divino: quasi come se manifestasse un atteggiamento della mente inverso rispetto a quello prediletto da Nietzsche, che è versione dell’umano, troppo umano. Ne deriva, che il Nostro ha una maggiore confidenza con il percorso di Francesco, cioè con la parusia, ossia con il ritorno di Cristo dopo la deificazione e dopo l’assunzione in cielo e, quindi, nei fenomeni di illuminazione trasmessa a uomini di ineguagliabile luce e di soave santità, come Francesco o come Giovanni della Croce, ma anche negli artisti illuminati da una luce immaginifica di visione e di trascendimento della realtà, come Leonardo da Vinci, Sandro Botticelli, Francisco Goya o addirittura Ludwig van Beethoven, Federico Fellini o Edith Piaf e altri ancora.
Mugnai ha la capacità del ricercatore d’oro, che riconosce la presenza celata del filone minerario osservando con formidabile intuizione uno sminuzzo di pepita: egli è una sorta di rabdomante del surreale. La Poesia, per Duccio Mugnai, rappresenta il fenomeno della caduta del velo di Maya, teorizzato da Arthur Schopenhauer, nella di lui visione del mondo come volontà e rappresentazione, con le tre vie che riscattano l’uomo dal dolore, cioè l’arte, la compassione e l’ascesi.
La meta da raggiungere nel corso della vita è, dunque, la liberazione totale dal meccanismo endemico della sofferenza che attanaglia l’esistenza umana, in quanto consapevole di essere rinchiuso in una gabbia mortale, sostanzialmente diabolica, in cui la vita dovrà soccombere o procombere, siccome piace a Leopardi intonare nel suo canto All’Italia: il percorso della poesia e dell’immaginazione artistica diviene l’iniziazione al canto della libertà, come più alta espressione dell’anima o se si preferisce della vita interiore di ogni uomo.

Sandro Gros-Pietro

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Febbraio

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