PREFAZIONE

Non v’è bisogno di rammentare quanto valore simbolico sia stato conferito ai vestiti e come un code vestimentaire viga, pressoché in ogni tempo e a qualunque latitudine, funzionando da indicatore e da regolatore sociale. È pure cosa notissima che il sistema della moda ha sempre occupato posizioni di primario rilievo nelle società umane ed è pervenuto a procurarsi quote ben consistenti nel pacchetto azionario della cultura contemporanea: tralasciando Barthes e i suoi studi innovatori, dipoi, nel frangente che è stato intitolato con qualche semplificazione di troppo al postmoderno, il pensiero filosofico non ha esitato a teorizzare la pervietà assoluta, fino all’indistinguibilità, tra il vestito e il corpo nello stato sovrano dello spettacolo delle apparenze e nel segno di ciò che è denominato “inorganico”, diffuso urbi et orbi, seduttivo e trionfante.
Non si contano, così, gli impieghi dei vestiti nelle opere d’arte. In chiavi semantiche diverse, da Savinio a Magritte a Beuys, per non citarne che alcuni, in molti hanno appeso giacche e cappotti nelle scatole sceniche della loro pittura e delle loro azioni-eventi. Gli armadi stipati di manufatti di stoffe hanno schiuso sorprese spaesanti nei racconti del fratello minore di De Chirico; un Album è quello di Paola Masino, che alle mises delle varie stagioni della sua vita ha legato, in un diario di letteratura pubblicato postumo, le memorie che conserva più vive.
In Trame Edith Dzieduszycka si tiene lontana dallo spazio lirico del vissuto e, più che affioramenti a deputazione barocca o d’intenzione surreale, cura una rassegna come d’ordine matematico dei vari capi e dei loro tessuti e del lavoro che essi hanno richiesto; con i corpi inoltre è marcata – insieme con una ammiccante complicità – una differenza netta in termini di statuti e di funzioni e di realtà: epperò i vestiti dettano il tema in questa raccolta di versi come di taglio monografico, che si conduce tra leggerezza e umorismo.
Rassegna d’ordine matematico, dicevo, volendo intendere che, in un catalogo sui generis che pure non è fatto di sequenze lineari, chi si dia a leggere attentamente subito rintraccia una logica e una strategia d’analisi e di profferta, paradossalmente tanto più sistematiche quanto più in apparenza l’esposizione dei modelli sembra casuale, non soggetta a particolari controlli: si tratta di un criterio trilobato, definito dallo stile, dall’uso e dal confezionamento. Stile, uso e confezionamento contrassegnano e al tempo stesso riordinano la vetrina variatissima dei vestiti di Trame.
Quanto allo stile, il vintage è particolarmente accreditato: Edith Dzieduszycka riesuma così la moda a cavallo tra Ottocento e Novecento e riscrive Gozzano talora, poeta della moda. Anche quelle di Trame sono, così, come delle stampe e prendono un colore virato al seppia: gli accessori in queste evenienze se ne salgono alla ribalta e si mostrano nella forma di manicotti, di stole da cocotte, di guanti lunghi da femme fatale. Pure il secondo Novecento, tuttavia, sfila in passerella; e le gonne di quando in quando si allungano fruscianti o si accorciano, sfrontate, anche oltre i limiti misurati da Mary Quant; e le stoffe ora hanno un che di serico, ora sono crespe tanto che lo chiffon gualcisce e sembra lì lì per apprestarsi, mutando di segno, giusto per i panni logori e desueti trattati dagli chiffonniers di Baudelaire. Il vestito si frammenta per lo più; sono le parti o i dettagli, che ne demarcano lo stile, a rappresentarlo e a dichiararne l’epoca, cogliendone lo “spirito”, e a suggerirne la destinazione sociale per classi di età, per ceto.
L’uso, poi: Edith Dzieduszycka disegna silhouettes e, nei cartamodelli opportunamente stilizzati, di riflesso, con tratto discreto, scorge situazioni, profila personaggi, sbalza sentimenti, inquadra vanità e misura miserie, rileva status symbol. Ma in forza di una insistenza maliziosa, che batte la nota dominante, i vestiti in Trame sono adoperati per coprire e per poi scoprire, per nascondere e per rivelare, comunque per disseminare tracce che conducono verso l’oggetto del desiderio. Gonne che scivolano o salgono, bottoni slacciati, chiaroscuri seducenti, coni d’ombra avvertiti come campi magnetici: sull’onda di un erotismo sorridente di leggerezza e contravvenendo alla cifra mortuaria e mercificante della moda, il vestito è qui messo al servizio della vitalità del corpo e delle sue leggi archetipe e il corpo non è più vestito, è solo corpo con lo sciame di pulsioni che inevitabilmente smuove.
Un titolo quale Trame, infine, discende per linea diretta dalla prassi del confezionamento. I tessuti si tessono e dunque si ottengono da un compimento degli orditi con le trame; e i vestiti, prim’ancora di essere perfezionati nell’atelier, sono punti, sono tagli, sono cuciture. Ciò dà agio a Edith Dzieduszycka di denunciare, senza che mai il suo linguaggio salga di tono, lo sfruttamento minorile consumato nella produzione delocalizzata delle case di moda; e più ancora le offre l’opportunità di apparecchiare come metafore i vestiti e gli atti sequenziali destinati a realizzarli: confeziona così immagini di fenomeni naturali o di condizioni antropologiche-umane che appaiono pertanto riprese da un’angolazione inusuale, viste come la prima volta.
Il testo letterario è, sotto metafora, oggetto a sua volta da sartoria; e il testo si trama. La raccolta di versi di Edith Dzieduszycka ha, per tale rispetto, una valenza metaletteraria. Mentre passa e ripassa la sua spola facendo di frammenti di vestiario occasioni d’uso e di stile e annodandoli in piccoli corpi di scrittura, il testo lascia trasparire tra stili e usi e confezionamenti il suo stesso laboratorio. Con sottile umorismo e disinvolta e godibile eleganza, senza supponenze, in una lingua semplice che ama talvolta il gioco di parole e insegue assonanze, con esprit de finesse.

Marcello Carlino
Agosto 2018

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