Nota dell’Editore

La ricchezza della produzione letteraria di Benito Vespucci – poeta, narratore, drammaturgo e musicologo, nonché docente di recitazione e attore lui stesso – è palesata nel titolo della sua collezione d’autore, che non a caso si chiama Trasparenza. Il titolo è emblema dell’intera sua opera, e sta a indicare la perspicuità, l’evidenza e la chiarezza delle sue parole, che sono resistenti come le pietre, ma anche sono leggere come le nuvole. Si tratta di una produzione molto ampia, che campisce una quantità di tematiche variegata e complessa. In poesia, in modo particolare, sono sviluppati i temi fondamentali dei legami affettivi con la famiglia di appartenenza, dalle figure quasi deificate della madre e del padre, ai fratelli, alle sorelle, agli amici di famiglia, senza dimenticare gli animali di casa, come il Micio. Tematica poetica di privilegio è sicuramente la poesia d’amore, che assume toni di dolcezza e di incantamento verso la donna amata, emblema di fascino, di gioiosità, di continua festa della vita e di rinascita rivolta al futuro del mondo. Tuttavia, non manca anche la misura quotidiana del dolore, rappresentativa della rivelazione biblica, per indicare come l’umanità sia costretta a galleggiare per tutta la durata della Storia nel dolore delle guerre, delle malattie, dei soprusi e delle violenze: di tutto ciò Benito Vespucci rende conto con parole, si è già detto, di pietre e di nuvole, cioè consistenti e durevoli come la roccia, ma anche luminose e leggere come le nuvole. Come narratore, Benito Vespucci ama raccontare le situazioni del quotidiano che sappiano assumere un significato di esempio e di metafora per un’infinità di casi, in modo da divenire il succo principale della nostra esistenza. In tale modo è sviluppato quella sorta di zibaldone storico intitolato Guerra mia…, che è un viaggio nei ricordi della seconda guerra mondiale e dintorni.
In qualità di drammaturgo, Benito Vespucci ha fatto una distinzione tra la produzione letteraria in lingua italiana, che assume un significato storico di destino collettivo e patrio, come avviene in Cuore, che è una specie di riadattamento del capolavoro di Edmondo De Amicis, e come ritroviamo in Le disavventure di Pinocchio, che è il capolavoro di Carlo Lorenzini, sapientemente estroflesso come un guanto, per cui in Vespucci diviene l’anziano Geppetto a calarsi nei panni del burattino, bistrattato dalla sorte, ma capace di galleggiare e di sognare. Per quanto attiene, invece, alla produzione in vernacolo – più esattamente in lingua tarantina – il grande protagonista diviene il popolo del Meridione, fatto di gente resistente al dolore e illuminata dalla festa della vita. Si hanno, allora, le sette pièces teatrali in lingua tarantina, che rappresentano un affresco ricco di colori e di sfumature, perfettamente illustrativo delle condizioni sociali del popolo, e luminosamente dedicato, nell’opera A Zzumbarídde, a Chiarina, simbolo storico della forza femminile quale era alla fine dell’Ottocento.
Particolare di primaria importanza sono i preziosi supporti e le illuminanti delucidazioni critiche fornite dalla studiosa Patrizia Picardi all’opera complessiva di Benito Vespucci.

Sandro Gros-Pietro

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