Premio I Murazzi per l’inedito 2012 (dignità di stampa)

Motivazione di Giuria

Lirica di amore in senso cosmopolita e universale tendente ad affermare la priorità del sentimento di attrazione e di dono verso la persona amata come l’emozione più naturale e più nobile che l’uomo possa concepire, in armonia con le manifestazioni di bellezza della natura e dell’intero creato, descritte con un linguaggio ispirato alla chiarezza e al lindore schietto delle formule espressive, scevre da ogni ispessimento esornativo, ma efficaci nell’autenticità comunicativa. La Giuria all’unanimità attribuisce la dignità di stampa.

 

PREFAZIONE

L’esplicito richiamo del titolo non lascia spazio a dubbi circa l’intendimento dell’autrice di intonare la sua ricerca poetica alla forza rasserenante dell’amore, in un’eco di dantesca ricordanza e, quindi, in una dimensione mentale di ripresa e di valorizzazione del dolce stil novo. Ma ciò sia detto in una chiave totalmente moderna, di assoluta novità sia formale sia contenutistica. Quasi come se un navigatore solitario oggi volesse ripetere il gesto di Colombo e partire per la traversata dell’Atlantico affidandosi unicamente alla forza del vento ingabbiato nelle vele, tutt’altra esperienza farebbe, avvalendosi di una barca in lega di carbonio, con vele robustissime e leggere come ali di farfalla in materiale sintetico, la radio, il telefono satellitare e altre rivoluzionarie invenzioni riguardanti la conservazione della buona salute e la presta risoluzione di ogni altra necessità biologica. Ma ciò non toglie che il gesto sarebbe lo stesso: quell’indirizzare verso Occidente la prua della nave per andare incontro all’Oriente, contando sulla rotondità del globo, e farne la rivoluzione. Similmente, la nostra poetessa Grazia Fidora confida di fare la rivoluzione della sua vita contando sulla forza rigeneratrice dell’amore, così come or più di settecento anni fa Dante Alighieri progetta con il Vita nova di scrivere una Bibbia dell’amore totalmente nuova rispetto all’Ars amandi, e di costruirla sulla base della filosofia di Boezio, la retorica di Brunetto Latini, la politica di Cicerone, la fede di Sant’Agostino e con altri noti ingredienti di cultura occidentale (e araba), a partire dall’antichità latina e greco-romana, che sono già stati bene repertati. La Fidora, proprio perché per anni ha insegnato Dante, lo prende come stella polare d’orientamento, ma non come territorio da colonizzare e viverci di rendita. L’obiettivo della poetessa – toscana di nascita ma torinese di adozione dopo un’iniziazione lombarda agli studi e all’insegnamento – è quello di spostare la letteratura dalla cattedra di Sant’Agostino, giacente nel chiuso di una biblioteca, al campo aperto dell’esperienza, qualcosa di simile a quanto fatto in pittura dagli impressionisti rispetto a Raffaello, i quali si misero il cavalletto in spalla e lo piazzarono en plein aire. Salvo poi ripensarci sopra un momento, come insegna l’esperienza a ritroso dei prerafaelliti. Fuori di metafora, la Grazia Fidora è una delle più sicure e gentili poetesse della rivoluzione dell’amore che agiscano in quel di Torino, all’ombra della Mole ove si leggevano i versi di Guido Gozzano, intonati a una forma ironica di spleen, tra ironia amara e dolce disperazione. In una Torino divenuta poi sempre più tetragona, officiniera, operaia e materialista, Grazia Fidora spande il seme dei suoi fiori rivoluzionari in nome dell’amore che già incantarono Dante e Beatrice, ma questa volta il canto prende un’intonazione meno celeste e più terrestre: è una luce di vita nuova, intonata alla bellezza umana, alla nostalgia, alla sensualità, alla natura, al godimento della caducità effimera della vita e dei suoi ipnotizzanti spettacoli di colori, odori, musiche e brezze rigeneranti.
Già nel ricco libro precedente, Dell’amore della vita, la Fidora era stata sacerdotessa di questa stessa disciplina di estasi per i sensi e per l’intelletto, e aveva riscosso un notevole riscontro di pubblico e di critica, decisamente a favore. Anni prima, il libro degli esordi, Incantesimo di voci, aveva rivelato le sue capacità poetiche. La maturità di questa Una vita nova sta anche nell’antivedere un approdo conclusivo di pace nella serenità del sepolcro nel cimitero di Manciano, il paese natale della poetessa, dove riposano i genitori, gli amici e gli avi. In tale caso, l’espressione del titolo è anche metafora di vita eterna e di traguardo verso l’al di là. Ma è senz’altro preminente nella scala dei valori poetici della Fidora il canto per la vita mondana, per lo spettacolo impagabile della trasformazione biologica e inarrestabile del pianeta, dal movimento dei nembi e delle nuvole nel cielo accecante di luce solare ai mulinelli di foglie cadute che il vento novembrino si porta via, anche se, in questo nuovo libro, le visioni appaiono invaiate – direbbe il Pascoli, cioè imbrunite e un poco avvizzite – dal procedere degli anni verso l’età matura.

Sandro Gros-Pietro

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