PREFAZIONE

Questo ultimo libro di poesie di Walter Chiappelli, Vampa celestiale, organizzato per segmenti e per sezioni che raccolgono una serie di testi fra loro autonomi, si presenta come un unico poema celebrativo, che sembra inneggiare alla pienezza del dire per versi, cioè al valore illuminante della poesia, come annunciazione ed informazione di ciò che è, sic et simpliciter, alla fine, si direbbe che impronta la coincidenza primordiale del canto con ciò che è, con ciò che esiste in sé e per sé. In verità, c’è qualcosa di più e probabilmente c’è anche qualcosa di diverso dalla concezione della poesia come parola primigenia e primordiale, come parola rivelatrice dell’Essere; quest’ultima, infatti, storicamente sarebbe una pertinenza del pensiero laico. Ma in Walter Chiappelli, invece, c’è la fede religiosa come caratteristica avvenente e luminosa della poesia. Vampa celestiale è, pertanto, metafora polivalente, velata ed ambigua niente meno che del volto di Dio. Anzi, della voce di Dio, perché alla vampasi può parlare, rivolgerle invocazioni e sospiri, raccomandazioni e speranze. Anche se non è detto che sia chiara e voluta intenzione dello scrittore, al lettore non può non venire in mente il roveto ardente del terzo capitolo dell’Esodo: la voce possente di Dio parla attraverso le fiamme che bruciano e che non consumano il roveto, sul monte Sinai, perché sono purissima luce fiammeggiante, e chiaramente svela al già vecchio Mosè l’architettura del disegno divino, cioè la liberazione dalla schiavitù, la definizione dei confini del bene e del male nelle tavole dei comandamenti, i quarant’anni nel deserto ed il dono della terra promessa. Mosè rimane estasiato e rapito dalla pienezza e dal fascino di un discorso a tal punto divino e appagante, da conciliarsi in pieno e ad oltranza con ogni angustia della vita: già vecchio, diventerà un inimitabile sacerdote ed esempio per tutti di vita vissuta senza riserve né risparmi.
Qui, nel libro di Walter Chiappelli, abbiamo un vecchio in una casa di riposo che arranca verso il suo Incontro inevitabile. Ma anziché trovarsi di fronte alla signora di nero vestita che non sorride mai né mai è dimentica dei suoi appuntamenti, si trova di fronte ad unavampa celestiale ed a un rigenerante volto, proprio perché egli intuisce, attraverso l’esperienza degli anni e la forza della fede, la pienezza del disegno divino, che a tal punto lo affascina da renderlo testimone del mondo, esempio per tutti, fieramente attaccato alle manifestazioni genuine della vita, perché egli è irreversibilmente affascinato da quella vampa celestiale, cioè da quella suprema sapienza amorosa. C’è, dunque, qualche meccanismo biblico che scatta pavlovianamente nell’attenzione del lettore quando si leggono le prime quattro o cinque poesie di questo libro. Poi, il pensiero poetico subito si assesta, più opportunamente, in uno specifico riferimento da nuovo testamento, per cui la figura del Cristo viene evocata e viene rigenerata, attraverso una parusia poetica, nel santo Poverello patrono d’Italia. L’intreccio dialogico diviene un amalgama tra il religioso e il laico, accanto alla fede, misericordia e speranza – le tre virtù teologali dell’altissimo cielo – capolinano pace giustizia e libertà, che sono, invece, figlie di un dio minore, e specie l’ultima di queste tre, la libertà, ha trovato la sua rigenerazione alla modernità in natali di smaccata traccia borghese, cioè nel sangue e nel furore giacobino della rivoluzione francese, che con la vampa celestialedebbono avere avuto ben poco a che fare, se non nulla. Ma ciò serve a mondanizzare il discorso poetico, a renderlo testimone del mondo e dell’uomo, nastro di Möbius che registra all’infinito l’eterna storia delle albe e dei tramonti sulla civiltà di Dio e sui suoi annessi o sulle sue coerenze/incoerenze più o meno celestiali o luciferine. E l’intreccio diviene un intrico e la testimonianza diviene una cronaca: con l’accorgimento di una studiata ricaduta nel microcosmo storicizzato dell’attualità, il poeta riesce a fare affiorare nel verso gli elementi materici della quotidianità ed illumina i volti di amici o di corrispondenti, a lui divenuti cari lungo il compimento dei suoi percorsi di corrispondenza culturale, poetica e letteraria, come Guido Miano o Giorgio Bárberi Squarotti, in un vago sodalizio di intenti ideali, nel quale prende figura e si forma l’idealità dello scrittore, visto come anima ed intelligenza del mondo, e come linguaggio pluriprospettico che si esprime nel tempo irreversibile.
Proprio la poesia, dunque, si conferma l’argomento del canto di Walter Chiappelli, saviezza e salvezza paiono essere i binomi vincenti, nell’incanto di un’armonia universale e cosmica che coniuga insieme Poesia e Dio, con completa reversibilità in Dio e Poesia: l’armonia, dunque, fa coincidere nella vampa Dio e Poesia insieme, e le maiuscole sottolineano il valore simbolico delle categorie di assoluto cui l’autore si riferisce. Non guasta, in questa prospettiva, ricordare che Walter Chiappelli è musicista compositore e direttore d’orchestra e che per lui l’armonia delle cose è già il velo della presenza dell’assoluto. In tale luce di grazia e di convincimento, forse il momento più alto ovvero il messaggio più colmo di speranza è racchiuso nella poesia Sorga la ragione, specie là ove sta scritto: La Ragione vivente realizzi / la pienezza dell’Essere nella morte, che è una fiaccola di luce pentecostale, e che è la discesa del coraggio nella fede e nella parola di divulgazione, unico messaggio capace di rendere liberi gli uomini (questa volta c’è una nozione di libertà che non ha nulla di compromissorio o di colluso con la peregrinità storica della rivoluzione francese), e che ripropone l’umanità raccolta presso il cenacolo ove è approntato il solo cibo che sazia e che appaga ogni vita vissuta (altrove il poeta parla di fiaccola erubescente, che è suggello pittorico medievale della lingua rosseggiante di fuoco con cui si segnava il capo dell’apostolo su cui era sceso il fuoco ardente dello spirito santo).
La poesia di Walter Chiappelli si avvale, inoltre, di annotazioni fulminee e di parole pressofuse insieme, come fossero state forgiate nel bagliore di un lampo che le abbia cementate irreversibilmente in una, tipo corpoluce, larvebelle, alatecroci, corpovivo, ed altre ancora che sono usate come simboli del potere rigenerante e rivelatore che la vampa esercita sul linguaggio poetico. In ultima analisi, mi piace concludere riprendendo un concetto che Alessandro Parronchi aveva sviluppato alla fine degli anni Settanta sulla poesia di Chiappelli: la sua poesia senza tempo è come una bevanda che quotidianamente disseta e mette in sordina il dolore. Con ciò si vuole sottolineare il valore metaletterario della poesia di Walter Chiappelli e il suo intento di pronunciare una parola rigeneratrice ed essenziale, luminosa e nuda, che è alimento dell’anima e viatico quotidiano nel luminoso viaggio di conoscenza che ad ognuno di noi è concesso su questo pianeta.

Sandro Gros-Pietro

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